Saper scrivere è fondamentale. Faccio un mestiere di comunicazione, nel mio lavoro scrivo per gli scopi e i destinatari più disparati. Ma ogni tanto scrivo per il puro piacere di farlo, solo perché ne ho voglia. A volte è una vera e propria urgenza: mi aiuta a razionalizzare quello che ho in testa, dare forma a un’idea, cristallizzare un concetto, fissare un pensiero o un ricordo.
Ad ogni modo, quello che scriverò nel blog è riconducibile alle categorie descritte nel mio “Chi sono”. Pubblicherò in ordine sparso contenuti e riflessioni sul Digital e sul marketing, sul mondo del business e della comunicazione, senza tralasciare le altre mie grandi passioni (musica e batteria, viaggi in Harley Davidson negli USA, il mondo del vino).
Un caleidoscopio di spunti apparentemente diversi e inconciliabili, filtrati dalla lente della mia personale esperienza e tenuti insieme proprio dalla mia scrittura. O almeno, questa è l’idea editoriale di fondo… Qui non scrivo per la serp o per gli algoritmi, né mi aspetto che tu lasci un commento; ma se lo farai, risponderò con molto piacere.
Foto impossibili ma reali, immagini enigmatiche e metaforiche, intricati giochi concettuali e di prospettiva. Si può comprare un disco ma non aprirne mai la confezione? Oppure comprare sei volte lo stesso album? La risposta è sì, se il progetto grafico lo affidi a due tizi così.
Tutti gli studio album e i side projects, i continui cambi di line-up e i momenti più concettuali, le infinite influenze ed evoluzioni stilistiche: ecco una sorta di guida definitiva per esplorare gli Archive e 8 brani da ascoltare come “porta d’ingresso” alla loro musica.
Perché alcune band diventano fenomeni globali mentre altre, pur con un valore artistico indiscutibile, restano confinate a una nicchia di appassionati? È una domanda che ogni amante della musica si è posto almeno una volta, e il caso degli Archive – a me molto caro – è un esempio perfetto per provare a rispondere.
Due band “giovani” della scena rock, due mondi (sonori) e modi (di stare sul palco) completamente differenti. Da una parte i Black Keys, ovvero blues, rock, garage, con hit travolgenti e pezzi viscerali. Dall’altra i Fontaines DC, più poetici e ricercati, alfieri di un alt-rock attuale con incursioni nell’elettronica.
Road trip in una zona di produzione tra le più famose e ricca di storia. Un week end all’insegna delle degustazioni e delle visite, in vigna e in cantina, a due produttori molto diversi. Sullo sfondo boschi, colline vitate, piccoli borghi e… enormi bistecche alla fiorentina.
La cosa più difficile da capire, per i profani, è che sulla Mother Road c’è ben poco da vedere. Nella migliore delle ipotesi troverete un rudere o una vecchia insegna in rovina. Però quel mix di caldo secco, insegne anni ’50, deserto a perdita d’occhio e senso di abbandono è qualcosa che resta dentro.
C’è sempre qualcosa che rimane fuori. Nei dischi, nei viaggi, nei racconti. Spesso non per mancanza di valore, ma per questioni di spazio o di tempo, o semplicemente perché il progetto ha preso un’altra direzione. Ecco, questi tre parchi sono i miei Spare Parks, tre outtakes dai miei viaggi americani: vissuti, ammirati, ma di cui…
Né Zabriskie né Pompeii. La vera pepita nascosta tra le pieghe della storia floydiana sono i concerti della primavera del 1969, in cui la band mise in scena un misterioso concept show che parlava di routine, alienazione e ricerca spirituale. E che non finì mai nella discografia ufficiale.
Ci sono luoghi che ti restano dentro. Anche quando i dettagli svaniscono insieme ai ricordi, con il passare degli anni. Il Bryce Canyon l’ho visitato due volte, in due vite diverse. E di anni ne sono passati più di dieci. A cosa servono le seconde volte?
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