Nel precedente articolo me ne sono uscito in modo abbastanza estemporaneo, lo ammetto. Come già altre volte in passato, ho preso spunto da una notizia di stretta attualità (il singolo appena uscito che anticipa la pubblicazione del nuovo album degli Archive) per poi scavare nella mia memoria, alla ricerca di loro concerti di cui sono stato testimone. Solo che stavolta la band in questione (a) non è una band, ma un collettivo musicale e (b) non è di quelle che tutti conoscono, a differenza delle altre che pure ho raccontato negli articoli del mio blog.
Proprio per questo però, almeno dal mio punto di vista, gli Archive rappresentano una delle esperienze musicali più affascinanti e poco raccontate in Italia: un collettivo che vive di mutazioni continue, contaminazioni stilistiche e visioni a tinte forti, che ha saputo trasformarsi più volte restando coerente con una poetica cupa e oscura, spesso distopica, sempre piena di emozione.
Ad esser sincero, in tanti anni non mi è mai capitato di parlare degli Archive a qualcuno e sentirmi rispondere una cosa del tipo “Come no?! Gli Archive, li adoro” o anche solo “Gli Archive, certo che li conosco”. Mai. Ogni volta che ci ho provato, ho provocato un comprensibile silenzio imbarazzato nell’interlocutore, e a quel punto mi sono puntualmente sentito in obbligo di provare a dare qualche info in più.
E così anche stavolta: quest’articolo ripercorre brevemente la loro ormai lunga e camaleontica discografia, i momenti concettuali, le infinite influenze ed evoluzioni stilistiche. Questo post vuole essere una sorta di guida definitiva per esplorare gli Archive e si concluderà con la mia personale (e in quanto tale, lo dico sin da ora, arbitraria) lista di brani da ascoltare come “porta d’ingresso” alla loro musica.
Magari la prossima volta, se incontro qualcuno e provo a dirgli Archive, quello non mi guarda con aria interrogativa e sguardo smarrito. Comunque non ci spero poi tanto.
Il concetto di “collettivo musicale”
In un panorama musicale dominato da successi rapidi e virali, gli Archive emergono come un caso singolare: un collettivo inglese dalla storia lunga, con una discografia ambiziosa e imprevedibile, a tratti persino incoerente, che in alcuni paesi d’Europa riempie teatri e arene ma che in Italia è rimasto in larga parte “di culto”.
Per avere un minimo di contesto, è necessario partire da questo concetto di “collettivo”. Gli Archive non sono una band con formazione stabile, ma una struttura fluida che cerca intenzionalmente collaborazioni, cambi di line up e contaminazioni continue.
Le due costanti rimangono Darius Keeler e Danny Griffiths, fondatori e “titolari” del progetto, si occupano di tastiere, elettronica, programmazioni, effetti sonori e scrittura. Ma attorno a loro ruotano cantanti, musicisti e produttori, con continui avvicendamenti, uscite e in qualche caso anche clamorosi ritorni.


Il percorso stilistico
Il loro viaggio inizia a metà anni ’90 con Londinium. Il primo album ha una dominante nel solco del trip-hop e dei Massive Attack, mescolata però in modo originale con un sacco di altra roba: archi e musica da camera, soul psichedelico e chill out, il cantato rap di Rosko John e quello etereo di Roya Arab, più i contributi in studio di decine di altri collaboratori.
Dopo essersi brevemente sciolti, nel ’99 tornano in studio con una line-up stravolta e una nuova cantante (Suzanne Wooder), sfornando un secondo album meno ispirato e riuscito, che vira decisamente verso un pop elettronico molto più banale e orecchiabile.
Alla terza prova (2002), nuovo deciso cambio di direzione musicale: alla voce ora c’è Craig Walker e i successivi album sono all’intersezione tra rock elettronico, progressive, psichedelia, post rock e musica ambient. Risale a questo periodo la pubblicazione di Again, probabilmente il loro pezzo (una suite di 16 minuti) più rappresentativo e anche, a mio parere, il più riuscito.
Con Lights del 2006 abbandona il sodalizio Walker ma debuttano le voci maschili (e le chitarre) di Pollard Berrier e Dave Pen, e si consolida quella femminile (splendida) di Maria Q. Da qui in avanti la lista dei collaboratori diventa più stabile ma il progetto continua ad evolvere, restando “aperto” a nuove contaminazioni e influenze diversissime.

Nel successivo Controlling Crowds (2009), un concept album sulla massificazione e il controllo sociale (tanto per rendere l’ascolto ancora più facile…), torna brevemente a collaborare con il collettivo il rapper Rosko John. Si tratta del maggiore successo commerciale degli Archive, un album molto intenso che raggiunge addirittura il numero uno delle classifiche in Francia per una settimana e tocca la vetta anche in Grecia, Belgio e Lussemburgo.
Nel 2012 arriva una seconda voce femminile, quella di Holly Martin. La terza chitarra (che tipicamente contribuisce al loro suono atmosferico con distorsioni ed effetti) passa nel corso degli anni da Steve Harris a Mickey Hurcombe, mentre la solida sezione ritmica è affidata stabilmente a Steve Barnard (alla batteria) e, in prevalenza ma non solo, a Jonathan Noyce (basso). Di volta in volta, i vari membri collaborano alla scrittura dei pezzi con Darius e Danny.
Negli anni a seguire i lavori in studio continuano a spiazzare e mettere duramente alla prova l’ascoltatore, mostrando una evidente matrice elettronica e post rock su cui si innestano di volta in volta influenze alternative, industrial, drum ‘n’bass e chissà quante altre. Ogni volta gli Archive ibridano i generi. E i loro pezzi più riusciti hanno uno sviluppo lento e ipnotico, con una particolare attenzione al crescendo dinamico e all’atmosfera più che alla forma pop.
Questo rende tutta la faccenda meno immediata e comprensibile per un pubblico mainstream, ma più interessante per chi cerca profondità e vuole seguire le infinite mutazioni di un progetto che trascende i generi e i singoli musicisti. Nonostante ciò, è venuta fuori una cifra stilistica difficile da definire, ma certamente riconoscibile. Voglio dire… se li apprezzi, quando ascolti qualcosa di loro e magari non lo sai, lo senti che sono loro. Anche se sono molto diversi da come suonavano l’ultima volta, o nel tuo album preferito.
Discografia completa
Qui sotto trovi una panoramica ordinata degli album in studio, con anno di pubblicazione, stili e influenze prevalenti, punti chiave e qualche nota critica. Per un esame brano per brano di ogni disco, rimando senz’altro all’imbattibile approfondimento sugli Archive consultabile sul sito Ondarock, da cui io stesso ho preso qualche notazione.
Più avanti invece trovi un breve recap delle altre pubblicazioni e side-projects (colonne sonore, live, unplugged, raccolte etc.) a firma Archive, che completano il loro viaggio musicale fino ad oggi.
Discografia degli studio album (1996–2022)
1996 – Londinium
Trip-hop, elettronica, influenze soul, inserti rap, chill out e lounge.
Debutto nel solco del Bristol Sound, ma con atmosfere prevalenti soffuse e malinconiche. Arrangiamenti orchestrali avvolgenti e spesso drammatici, La quiete notturna scende su Londra nascondendo l’inquietudine del caos quotidiano. Bellissimo.
1999 – Take My Head
Pop elettronico e melodico.
Più accessibile e commerciale, ma considerato dalla band stessa “meno riuscito”. You Make Me Feel e la title track spiccano per energia, attacchi sonori e distorsioni. Saranno anche gli unici brani dell’album ad essere riproposti live negli anni a venire.
2002 – You All Look The same To Me
Psichedelia, progressive, elettronica.
Svolta significativa col cantante Craig Walker: atmosfere più ampie, influenze Pink Floyd / Radiohead / Mogwai. Le composizioni mantengono tutta la classe del gruppo e navigano con scioltezza fra stratificazioni sonore, momenti più distorti e distensioni melodiche.
2004 – Noise
Rock elettronico, con chitarre e ritmo maggiore.
Il suono è più diretto, i brani meno meditativi rispetto al passato. Persino più ambizioso, ma forse anche meno riuscito del precedente. Spiccano la title track e la terrificante Fuck U, non mancano pezzi elettronici estremi e sperimentali.
2006 – Lights
Stesse influenze stilistiche dei precedenti.
E’ l’album in cui gli Archive abbandonano l’idea di essere una band tradizionale e mettono invece a fuoco il concetto di collettivo, con nuovi contributi artistici e grande varietà stilistica. La title track è un’altra lunga suite di chiara ispirazione floydiana.
2009 – Controlling Crowds (Part I-III e Part IV)
Elettronica, post rock, alternative rock, trip-hop, ambient.
Nonostante l’impianto tematico (vedi più avanti), è un disco più bilanciato rispetto ai precedenti e più fruibile rispetto a quelli che seguiranno. È suddiviso in tre parti, a cui se ne aggiunge una quarta pubblicata pochi mesi dopo. Torna (brevemente) Rosko John.
2012 – With Us Until You’re Dead
Elettronica, alternative rock, ambient e trip-hop.
Meno narrazione sociale, più sentimenti, relazioni, fragilità. I brani di questo album sono molto diversi fra loro ma stavolta stanno insieme a fatica. Oltre che di coerenza, manca anche di immediatezza melodica e l’ascolto è davvero faticoso.
2014 – Axiom
Elettronica, post rock, progressive.
Opera multimediale (disco + film) a tinte forti, visionaria e distopica. Alcune delle migliori qualità del collettivo sono al servizio di una allegoria potente e apocalittica. Curiosità: i brani sono nati come una sorta di script musicale e poi è stato realizzato il film.
2015 – Restriction
Elettronica, post rock.
Dopo una opera particolarmente ispirata, si torna (di nuovo) a un album musicalmente irrisolto: la tracklist è stilisticamente varia, ma al punto da sembrare incoerente. Ci sono spunti e atmosfere già ascoltate nel loro repertorio, mancano tuttavia brani killer.
2016 – The False Foundation
Elettronica, con influenze ambient, lounge e industrial.
Un disco che miscela anima riflessiva, atmosfere cupe e spinta sonora. La batteria acustica quasi scompare a favore di beat elettronici, drum machine e campionamenti ritmici: una scelta estetica ben precisa per evocare meccanicità, ripetizione e spersonalizzazione.
2022 – Call To Arms & Angels
Post prog, art rock, elettronica.
L’album (doppio CD – triplo vinile) vive di contrasti musicali, dinamici (pianissimo vs fortissimo) e tematici (politica vs introspezione). È una riflessione sugli anni recenti, segnati in particolare dalla pandemia. Lisa Mottram si aggiunge alle altre voci e co-autori.
Altre pubblicazioni
L’album “Michel Vaillant” (2003) è una colonna sonora per film, musicalmente in bilico fra elettronica incalzante, orchestrazioni d’atmosfera, digressioni cupe e musica ambient (su Wikipedia ho letto che avrebbero poi nuovamente lavorato per il cinema anche nel 2012, componendo la musica per un film di Sergio Castellitto).
Nel 2005 esce “Unplugged”, alla voce c’è ancora Craig Walker. Ad un anno di distanza da “Noise”, gli Archive rivisitano alcuni dei loro brani più noti senza l’ausilio dell’elettronica, ma avvalendosi unicamente di chitarra acustica e pianoforte. Una scelta insolita, per una band (forse all’epoca poteva ancora definirsi tale) post rock che ha l’elettronica nel suo DNA.
2007, nel cd “Live at the Zenith” la “nuova” formazione, che l’anno prima aveva esordito suonando in “Lights”, presenta dal vivo quelli che fino ad allora erano senz’altro i brani più significativi della decennale storia degli Archive. Si tratta della registrazione di un concerto tenutasi in un teatro parigino a gennaio di quell’anno.
2010 “Live in Athens”. In questo DVD possiamo già vedere all’opera quella che sarà la line-up dal vivo in tutti gli anni a venire, con Pollard Berrier e Dave Pen sul fronte del palco, Darius e Danny (e le loro tastiere) ai due lati, rivolti verso gli altri musicisti (e non verso il pubblico), e i restanti in seconda linea. Completano la scena Maria Q e Rosko John, presenti sul palco durante i pezzi in cui sono la voce principale. In scaletta anche brani da Controlling Crowds, uscito l’anno prima.
Nel 2019 pubblicano l’antologia celebrativa “25”, un cofanetto disponibile in vari formati con inediti e rarità. L’edizione standard 2×CD include due brani nuovi/inediti per la raccolta. Esistono anche due edizioni deluxe: la 4×CD include sette tracce esclusive (nuove o mai pubblicate prima), mentre il box 6×LP arriva a otto nuove/inedite complessive.
Nel 2020 pubblicano “Versions”, in cui Darius e Danny danno una nuova veste più atmosferica ad alcune delle loro composizioni più significative: i pezzi sono completamente svestiti dei sontuosi orpelli musicali e delle stratificazioni sonore originali, gli arrangiamenti sono rarefatti e ridotti ai minimi termini.
Nel 2022, pubblicano la colonna sonora del loro documentario “Super8: A Call To Arms & Angels”. Nel 2024 infine, dopo circa vent’anni, Craig Walker è tornato a collaborare con Darius e Danny registrando e pubblicando due nuovi singoli.
Album concettuali e opere
In tutti gli album degli Archive sono presenti dei concetti molto forti, alcuni in particolare ricorrono e si sviluppano lungo tutta la loro discografia, ma i dischi più rilevanti e compiutamente tematici sono senz’altro i seguenti.
Controlling Crowds (I–III e Part IV), un’opera in più atti
Controlling Crowds è probabilmente l’opera concettuale più ambiziosa degli Archive: una narrazione in quattro atti, pubblicati nel 2009, che affronta in forma musicale i temi del controllo sociale, della manipolazione delle masse, della perdita dell’identità e della fragilità del singolo all’interno di sistemi più grandi di lui.
L’album è strutturato come un flusso continuo, dove le canzoni non funzionano come singoli isolati ma come capitoli di una stessa storia. Le sonorità spaziano da elettronica scura e battiti ipnotici a orchestrazioni dal tono quasi liturgico, fino a esplosioni rock tese e drammatiche.
Il “protagonista” è spesso un io narrante frammentato, che cambia prospettiva: ora individuo vulnerabile, ora osservatore lucido, ora massa indistinta. L’ascoltatore è trascinato dentro un mondo urbano e claustrofobico, fatto di telecamere, folle, sospetti, domande senza risposta.
Per molti fan e critici, Controlling Crowds è il capolavoro concettuale degli Archive, l’album in cui la loro identità di collettivo raggiunge la piena maturità. Nella mia memoria conservo dei ricordi ancora sorprendentemente vividi della title track, di Bullets e di Dangervisit, i brani più potenti, ascoltate dal vivo al Circolo degli Artisti nell’ormai lontano 2012.
Axiom, una allegoria visiva in musica
Più che un album tradizionale, Axiom (2014) è un’opera multimediale: un disco concepito come colonna sonora di un cortometraggio girato ad hoc dal collettivo spagnolo NYSU. La storia non è lineare, ma simbolica e allegorica.
La vicenda si svolge in una città immaginaria dominata da una torre, simbolo di un potere oscuro. La vita degli abitanti è scandita dal rintocco di una campana, che regola i loro gesti e i loro rituali collettivi. Le immagini mostrano cerimonie, processioni e atmosfere cupe, quasi religiose, che evocano l’idea di una società prigioniera di un ordine imposto dall’alto.
Non ci sono dialoghi né protagonisti: sono la musica e le immagini a raccontare. Il risultato è una distopia astratta, un viaggio visivo e sonoro che mette in scena temi cari agli Archive come il controllo, la sottomissione e la ricerca di libertà.
La prima esecuzione live con proiezione del film fu il 29 maggio 2014 niente meno che alla celebre Roundhouse di Londra. All’Orion Club di Ciampino invece, quando li vidi in concerto per la seconda volta (era il 13 marzo del 2015), il film e la colonna sonora di Axiom furono proiettati sul maxi schermo dietro il palco, mentre nella seconda parte dello show la band eseguì dal vivo per lo più brani dal successivo Restriction, oltre ad alcuni classici del repertorio.
Call to Arms & Angels, un disco sulla fragilità e sulla resistenza umana
L’ultimo studio album ad oggi pubblicato dal collettivo londinese (2022) nasce in un tempo sospeso: quello della pandemia, delle chiusure, della distanza e dell’incertezza collettiva. Invece di raccontare direttamente quell’esperienza, gli Archive scelgono di trasformarla in una riflessione emotiva e politica sulla condizione umana contemporanea.
L’album è costruito sui contrasti: momenti intimi, ridotti a voce e pianoforte, quasi come confessioni private, si alternano a improvvise esplosioni sonore, con tensioni elettroniche, architetture corali e crescendo emotivi. La musica procede come un movimento oscillatorio tra fragilità e forza, tra resa e resistenza.
Al centro dell’opera c’è l’idea che, anche quando il mondo sembra spezzarsi, esiste ancora uno spazio interiore da difendere e da rivendicare: una chiamata a radunarsi, a riconoscersi, a non abdicare. Non è un concept album nel senso narrativo di Axiom o tematico à là Controlling Crowds, ma possiede una coerenza emotiva fortissima: è un’opera che non racconta una storia, ma una condizione condivisa.
Purtroppo, come ho già detto nel mio precedente articolo, ho incredibilmente mancato la tappa romana all’Auditorium del loro tour 2023, in cui presumibilmente hanno suonato live molti degli splendidi brani del disco. E’ però disponibile su YT, ancora per pochi giorni almeno, un recente concerto magistralmente filmato in una venue deserta (echi floydiani…) e post industriale in cui il collettivo è in grandissima forma ed esegue tutti i pezzi più belli di questo lavoro con la partecipazione della nuova voce femminile Lisa Mottram.
Guida all’ascolto: la mia personale playlist sugli Archive
Mancanza (o scarso investimento) nei circuiti radiofonici e nei media musicali italiani. Una identità indefinibile e in continuo mutamento. I gusti musicali mainstream del nostro Paese (pop, cantautorato, rock tradizionale), che lasciano meno spazio per progetti ibridi e sperimentali. Gli Archive del resto non hanno mai cercato il successo o l’immediatezza, e (almeno in Italia) non lo hanno mai trovato.
Le canzoni (ma chiamarle così è fuorviante) sono lunghe, intense, concettuali. Sono costruzioni sonore lente e immersive; non c’è una struttura convenzionale, niente strofa-ritornello per intenderci. Sono maestri nella stratificazione: aggiungono uno strumento dopo l’altro, anzi uno sopra l’altro, in modo ostinato, progressivo, ipnotico. I brani migliori si sviluppano come autentici viaggi sonori, con crescendo emotivi lenti che culminano in esplosioni improvvise e si risolvono in lunghe dissolvenze.
Ecco una playlist con soli 8 pezzi che spero possano essere utili per avvicinarsi al loro mondo, senz’altro ostico per un ascoltatore non sufficientemente motivato. Sono stati scelti in modo totalmente arbitrario, ovviamente, secondo i miei gusti e le mie preferenze. Ma credo che molti di loro, oltre che rappresentativi, siano anche tra i migliori della loro ormai lunga e variegata produzione.
Mettetevi comodi e… buon viaggio (è proprio il caso di dirlo)!
LONDINIUM – Come erano agli inizi, come tutto è cominciato.
AGAIN – Una suite di 16 minuti, ipnotica e sensuale.
FUCK U – Diretta, violenta, inquietante.
LIGHTS – Echoes dei Pink Floyd 35 anni dopo.
DANGERVISIT – “Feel-trust-obey” e si scatena una cavalcata indiavolata.
COLLAPSE/COLLIDE – Parte lenta, poi diventa sempre più grande ed esplode. Un viaggio, pura emozione.
THE FALSE FOUNDATION – Loop di tastiere, beat elettronici, ripetizioni ossessive.
GOLD – Chiude l’ultimo album (ma il nuovo uscirà il prossimo febbraio) e il nostro viaggio, altra odissea sonora in pieno stile Archive.














