David Gilmour live (al Circo Massimo): lo spleen e l’intensità emotiva del rock

Dico subito che i posti, a differenza della precedente occasione (estate del 2016) in cui avevo visto David Gilmour sempre qui al Circo Massimo (e sempre con mia sorella), mi hanno soddisfatto: molto avanti e solo leggermente decentrati. Stavolta eravamo parecchio vicini al palco e l’audio era proprio fantastico, si sentivano benissimo tutti gli strumenti (comprese due arpe) e persino ogni elemento della batteria nel mix era perfettamente distinguibile (cosa piuttosto rara). L’odiata lotteria dell’acquisto biglietti tramite “Miglior posto disponibile” stavolta non ci ha riservato fregature…

Naturalmente posti a sedere. Del resto alcuni concerti rock, ed è questo il caso, vanno vissuti così: in modo composto intendo, assaporando in mistico silenzio ogni nota della sua chitarra in una specie di trance indotta dall’intensità e dalla magia della musica. In alcuni momenti potevi sentire uno spillo cadere a terra.

Gli AC/DC ad esempio, pure visti di recente, da seduti è impensabile. Lo raccontavo in questo articolo: lì vai prima e ti fai ore di fila e di attesa proprio perché invece vuoi stare in piedi nel bel mezzo del bordellone, naturalmente il più avanti possibile, per tirati in aria come se non ci fosse domani e urlare tra la folla posseduto dal demone del rock più primitivo e selvaggio.

Lo yin e lo yang, l’apollineo e il dionisiaco, una cosa e il suo esatto contrario. Le due band che preferisco in assoluto non potrebbero essere più diverse, ho riflettuto molto su questa contraddizione. Da una parte Angus Young e soci: una band essenziale, dritta come un treno, sempre uguale a sé stessa, sempre fedele alla stessa formula musicale. Non c’è niente da capire in un brano degli AC/DC, è pura energia ed elettricità rock n’roll.

Dall’altra i Pink Floyd: avanguardisti e sperimentatori, molto concettuali, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Non c’è un album uguale all’altro nella loro discografia, in quella degli anni d’oro almeno. Ma la loro musica, oltre che raffinata e visionaria, ha saputo essere anche molto fruibile per milioni di persone. In entrambi i casi, pur così diversi, stiamo parlando non per nulla di due delle band che hanno venduto più dischi nella storia. Ma non devo dirvi io chi è chi e cosa è cosa; dunque torniamo al presente, a David Gilmour, al Circo Massimo.

Nel precedente articolo del blog mi chiedevo se la sua chitarra potesse fermare il tempo. La risposta purtroppo è no, neanche lui può farlo. Del resto il suo nuovo disco Luck and Strange, uscito un mese fa, tratta proprio di questo. Ebbene sì: anche lo zio Dave, che dal vivo negli anni era sempre stato impeccabile nella performance vocale e devastante in quella chitarristica, è invecchiato. Lo senti un pò in difficoltà, sui pezzi più impegnativi. Ma resta un musicista straordinario e questa fragilità (una cosa del tutto nuova e un pò spiazzante per noi fan) legata ai suoi 78 anni “suonati” sa di umanità, emana magia.

Per inciso, a me che li ho visti entrambi al Circo Massimo nel 2016, viene subito in mente un significativo parallelismo con Bruce Springsteen. Di Springsteen, che vedevo per la prima volta, rimasi impressionato dall’energia: dopo tre ore di concerto sembrava che finisse e invece… “one-two-three-four” e ripartiva. Un autentico animale, peraltro molto diverso da David nello stile e nel modo di stare sul palco. Beh, anche il Boss l’ho rivisto, sempre al Circo Massimo l’anno scorso, e ricordo che anche nel suo caso pensai più o meno le stesse cose: sette anni dopo era meno impeccabile e travolgente, più riflessivo e nostalgico, “più umano” ecco.

Nel caso di Gilmour la prova provata è Time, che guarda caso parla proprio del tempo che passa inesorabile e viene eseguita come sempre dopo Speak To Me – Breathe, concludendosi a mò di mini suite con la reprise di Breathe. Nei giorni precedenti i concerti romani, su un forum, alcuni fan si dicevano preoccupati per come l’avevano sentito cantare durante le prove di Brighton (aperte a un pubblico ristretto, altra piacevole sorpresa rispetto al passato).

Io invece mi dicevo ottimista, ma devo dire che le strofe sono davvero toste e Gilmour, che evidentemente non ha più l’estensione vocale di un tempo, fa quel che può. Anche l’assolo, uno dei più intensi ed espressivi della storia del rock, non gli è venuto tanto bene come altre volte (mentre ho molto apprezzato l’esecuzione del batterista ai rototom, quasi perfettamente aderente alla notazione originale di Nick Mason).

Bisogna però considerare che è un chitarrista solista e lo show è incentrato praticamente sui suoi celebri assoli, che la gente conosce a memoria e aspetta frase per frase come fossero una parte vocale. Se liscia anche una sola nota lo senti subito, e oltre a ciò deve cantare. Con simili premesse anche un 22enne fenomeno farebbe fatica, insomma dobbiamo concederglielo. Ed è fantastico che, a dispetto dell’età e del rischio di qualche imperfezione, un musicista che non deve dimostrare nulla a nessuno abbia voluto tornare ad esibirsi.

Invece, anche risentendola, ho trovato fantastica Fat Old Sun, suonata in scaletta immediatamente dopo Time. Curiosità: è la sua prima prova di songwriting per i Pink Floyd, risalente al lontanissimo 1970. Dopo l’assolo di tastiere la dinamica si abbassa, il pezzo quasi si ferma, ma poi entra lui con una delle sue più care e vecchie chitarre (una Fender Esquire del 1955 chiamata affettuosamente “The workmate”) e… che pezza! 🤟

Nelle prime tre serate romane che aprono questo tour sono successe delle cose simpatiche, che avvalorano il fatto che – come dicevo – Davidone (altro soprannome affettuoso in voga tra i fan) non è più impeccabile e perfetto come una volta, ma così ci piace anche di più. Durante lo show del 27/09 attacca Coming Back To Life direttamente con la strofa, saltando l’arpeggio introduttivo: dopo un attimo ferma tutto, si schernisce (“Nessuno è perfetto”) e ricomincia da capo.

👉 https://www.youtube.com/watch?v=L9gy4rGqP_M

La sera dopo invece durante Comfortably Numb, il bis conclusivo, si rompe l’iconica tracolla della sua chitarra (appartenuta a un tale Jimi Hendrix e regalatagli dalla moglie Polly Samson): entra in scena il tecnico della strumentazione Phil Taylor (da 50 anni al suo servizio), che con molta disinvoltura gli porge un’altra Black Strat pronta all’uso giusto in tempo per il primo dei due “big solos” (in un IG reel che avevo trovato, ora non più disponibile, si sente qualcuno dal pubblico che in modo molto romanesco grida come se fosse stato allo stadio “Grande Phil Taylor!”… un fottuto genio). 😂

👉 https://youtube.com/shorts/y_02IWKJPcg?si=ES6Rw5tmLRVGD4vy

La sera del 29/09 invece, finite le strofe di High Hopes, il pubblico è come di consueto pronto a raggiungere l’estasi sulle note oniriche e malinconiche dell’assolo di lap steel guitar che chiude il brano. Per chi non lo sapesse, si tratta di un altro assolo scolpito nella storia (“Una delle testimonianze più grandi dell’esistenza del divino”, come dice Luca Garrò in un suo articolo su Rolling Stone che vi consiglio). Ma niente, non arrivano. Io ero lì, una sensazione straniante, ve lo giuro.

Ma che è successo?! Se trovate il video in rete guardatelo. David è seduto e pizzica le corde ma la chitarra è muta, non emette un solo suono. Ecco allora che, suo malgrado, entra nuovamente in scena l’ormai mitico Phil Taylor che armeggia e sistema la faccenda. Lo zio nel frattempo perde un paio di giri, ma poi fa un cenno al batterista che capisce e “filla” nuovamente, così può entrare e portare in fondo il brano nel modo più degno. Risultato: pubblico ancora più in delirio. Il mio commento ad alta voce è stato “A Phil meno male, sennò lo zio stasera te licenziava!”.

👉 https://youtu.be/s2CmVnAnLkE?si=BqTOSq30AWoGjFRr&t=305

Aneddoti a parte, e nonostante le imperfezioni, il concerto è filato liscio ed è stato molto bello. Da segnalare nella tracklist una delle rare esecuzioni di Marooned, uno strumentale del 1994 suonato dal vivo solo altre tre volte in 30 anni, i dovuti omaggi a Rick Wright (A Boat Lies Waiting e The Great Gig In The Sky con il contributo delle 4 coriste) e tutti i pezzi con gli “assoloni” più riusciti dello zio David: da Sorrow del 1987 a In Any Tongue del 2016 passando per A Great Day For Freedom (una di quelle riuscite meglio a mio parere).

Gilmour in questo tour ha scelto i pezzi del passato floydiano che più lo rappresentano, non a caso l’album del 1994 The Division Bell è il più rappresentato tra quelli della band con 4 brani. Mancano dei classiconi degli anni ’70 (suonati però centinaia di volte nei tour precedenti) e invece dal nuovo album solista provengono ben 7 brani su 9, una scelta artistica che ho molto apprezzato. Tra l’altro i pezzi da Luck and Strange risultano tutti molto piacevoli. Tra essi il magnifico Scattered, che chiude ufficialmente la set list.

A quel punto tutti sapevano che ci sarebbe stata “l’invasione di campo finale” ovvero che tutti si sarebbero precipitati sotto il palco per Comfortably Numb, e infatti ancor prima che le ultime note di Scattered si spegnessero da dietro già arrivavano decine di persone. Io ero rimasto fregato nel 2016 così stavolta ero deciso a guadagnare i primi posti a ridosso della balaustra, anche perché comunque partivo dalla fila 7 quindi ero giù un bel pezzo avanti. E così è stato. Con mia sorella siamo finiti a pochi metri da uno dei più grandi chitarristi di sempre, da un mito, dal nostro amato “zio” che esegue ancora una volta il brano che più di tutti lo ha reso leggendario, ed è stata una emozione ineffabile.

E’ stato un momento catartico e commovente, il degno finale di una storia che per me in particolare era iniziata 30 anni prima. Letteralmente: 21 settembre del 1994, piscine di Cinecittà, The Division Bell tour dei Pink Floyd (a tre). Fu quella la prima occasione in cui vidi e ascoltai David Gilmour dal vivo suonare questa pietra miliare della musica contemporanea. C’era sempre mia sorella e c’era anche mio papà, che accompagnava i figli al primo concerto rock della loro vita (wow!). Quella volta eravamo a circa duecento metri dal palco, non esagero. Posto unico e in piedi, ovviamente non siamo andati tanto presto e di conseguenza eravamo nelle retrovie. Così ricordo quel palco spettacolare, un assolo ultraterreno e la figurina di zio Gilmour che però si intuiva soltanto, laggiù in lontananza.

Ci sono voluti 30 anni, e non so se ci saranno altre occasioni. Ma finalmente ho realizzato il desiderio di cantare quella canzone “con lui”, e vederlo da vicino in pieno flow mentre suona quelle note così piene di intensità emotiva. Grazie zio David, ti siamo affezionati come a uno di famiglia. E vorremmo davvero che non ti succedesse mai nulla di brutto, che si potesse fermare il tempo. Ma come tu stesso hai cantato l’altra sera, il tempo non fa sconti a nessuno. Neanche a te, alla tua voce e alla tua chitarra, che ci hanno regalato tante emozioni e momenti magici nel corso delle nostre vite. 💙

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