4 brani degli AC/DC da fare assolutamente alla batteria per migliorare

Il trigger per questo articolo è stato la lettura di una intervista a Chris Slade, un batterista che nella sua lunga carriera può vantare titoli invidiabili e, tra gli altri, ha avuto l’onore in due diversi momenti di sedere sullo sgabello di una band-monumento del rock e dell’hard rock come gli AC/DC. A tal proposito in questo articolo Slade dice una cosa che mi ha incuriosito: che anche le parti di batteria le facevano Malcolm e Angus Young, i fratelli chitarristi fondatori della band, mentre il batterista di turno doveva solo suonarle nelle take di studio. “E’ sempre stato così per me, per Phil Rudd e per Simon Wright” (i tre batteristi che si sono avvicendati negli anni nella formazione).

Onestamente non immaginavo questo retroscena. Che mi ha fatto tornare alla mente quello che già scrivevo in un precedente articolo, ovvero che la batteria degli AC/DC incarni uno degli archetipi del drumming pop-rock (su un versante opposto, tutto fantasia e imprevedibilità, ad esempio invece c’è Stewart Copeland di cui pure avevo scritto). E questo al di là dell’interprete di turno, anche se un po’ di differenza tra Phil Rudd (che poi sarebbe il batterista titolare, diciamo così) e Chris Slade ce la sento (mentre confesso di non conoscere i brani del periodo in cui dietro i tamburi sedeva Simon Wright).

Per inciso, al Power Trip con loro invece ha suonato Matt Laug, che andrà in tour con la band anche questa primavera nell’imminente e attesissimo PWR UP tour (Rudd, che pure ha suonato nel disco, evidentemente ha ancora qualche problemino con la giustizia…). Le sue esecuzioni a Indio sono state perfettamente aderenti alle versioni di studio, ed è una nota di merito perché a dispetto delle apparenze non è tanto facile avere quel sound e quel tiro, che è un vero e proprio marchio di fabbrica.

In attesa di rivederli/risentirli dal vivo (biglietti per la red zone di Campovolo già presi ovviamente), se si ascolta il Power Trip come ho fatto io cento volte (qui un ottimo video dell’intero concerto), si nota che una delle meno convincenti è proprio la celebre Thunderstruck, suonata con cinque o sei punti di metronomo in meno rispetto alla versione di studio. Come disse quella volta il Maestro Teo Frattima (che per inciso è anche mio cugino…), “Spesso alla batteria alcune cose sembrano facili e invece sono semplici, c’è una bella differenza”. E fare davvero bene le cose semplici non è facile, o comunque non alla portata di chiunque si metta lì e prenda per la prima volta in mano due bacchette, significa invece già essere un batterista solido e affidabile.

Per la verità in questa specifica circostanza (la Thunderstruck del Power Trip) il problema potrebbe persino nascere da Angus: il pezzo lo attacca lui con il leggendario riff trovato casualmente mentre scaldava le dita prima di un concerto (si vedano i primi secondi del video della canzone, più avanti). Se lui parte lento poi il batterista quando entra ha un ruolo molto scomodo: o accelera tutto ma è un casino (anche perché il riff è talmente veloce che non è affatto detto che le dita di Angus riescano ancora a farlo a quel bpm), o si adegua e tiene il tempo cercando di fare girare tutto, anche se un po’ più piano. Lo spiega bene in un bellissimo video (che non c’entra niente con gli AC/DC) il mitico Dado sul suo canale youtube (di cui invece avevo già parlato qui).

Altra cosa che è successa, in conseguenza delle precedenti, è che ho sentito l’urgenza di mettermi a suonare in modo più metodico un po’ di AC/DC, non dare per scontato che sapessi suonare bene le loro canzoni perché “facili”, anzi cercare di suonarle con una particolare attenzione per migliorare alcuni aspetti del mio modo di studiare e suonare la batteria, che del resto è a un livello puramente amatoriale.

Gli spunti didattici non mancano, così dopo averci riflettuto lavorando su ciascuno di questi quattro brani ho voluto esplicitarli a me stesso (e a chi eventualmente dovesse voler leggere questo articolo). Sono tutti e quattro famosissimi, iconici, in ordine secondo me di difficoltà.

Limito le mie considerazioni alle parti e alle scelte di batteria. Questo brano a me piace suonarlo con il rimshot, il colpo su cerchio e pelle del rullante per avere più pacca, è ottimo per allenarlo: è puro hard rock, deve suonare loud, serve peso sulla bacchetta. Seconda cosa, il fill che lancia il solo di chitarra: è tanto semplice quanto efficace, stilisticamente perfetto per il brano; più in generale, tipicamente le parti di batteria in un brano degli AC/DC sono senza fronzoli, perfettamente funzionali e questo ci ricorda una lezione molto preziosa: la batteria è per sua natura uno strumento che accompagna gli altri e al servizio del brano, non servono per forza di cose passaggi pirotecnici. La terza cosa sono gli stacchi, che richiedono di contare per rientrare a tempo, una capacità preziosa che non si allena mai abbastanza (e infatti torna anche nei brani successivi).

Il groove è quello base del rock, il più semplice possibile, ma per farlo girare bene occorre una grande solidità e confidenza sul tempo. I colpi di cassa e rullante sono sempre equidistanti, un attimo “avanti” o “indietro” e il brano barcolla invece di rotolare, lasciando nell’ascoltatore l’irrimediabile sensazione che qualcosa stia per andare a puttane. Un aspetto stilistico fondamentale è il portamento accentato e il suono pastoso del charleston, a volte semi-open altre sfarfallante: un marchio di fabbrica che richiede sensibilità sul pedale e padronanza delle dinamiche. Anche qui stacchi da contare, fill molto riconoscibili pensati in connessione con le parti di chitarra e grande uso del flam, l’acciaccatura che dà la sensazione di schiacciare a terra il colpo di rullante, un altro suono stilisticamente ricorrente nel genere.

Molto utile per migliorare il portamento, la vera spina dorsale di questo brano. Il bpm è abbastanza veloce e va tenuto costante, non è facile mantenere quel tiro avanti e quella intensità sul charleston. Nella intro la cassa è sul due e sul quattro, a cui si aggiunge il tom a terra (a meno che non abbiate due grancasse montate di lato come Chris Slade…) su uno e due: “THUNDER!”. L’altra cosa è che il batterista fa solo due fill brevi, entrambi un po’ insoliti e fonte di qualche imbarazzo se non si ha confidenza col counting. Il primo è basato sulle terzine all’interno di un pezzo che è quadratissimo. Il secondo (fine della re-intro) parte con un colpo di rullante sull’en del quattro ed è fatto di colpi di cassa in levare, l’ultimo preceduto da un sedicesimo di rullante (non vorrei sbagliarmi, ma al Power Trip mi pare di sentire che in quel punto Matt Laug ha fatto una cosa diversa).

Questo è a mio avviso il più difficile dei quattro perché è il meno scontato e prevedibile, con riferimento alle parti di batteria. Si basa sugli accenti di crash sul due e sul quattro, quindi insieme al rullante. Credo di non sbagliare se dico che sono obbligati e sono insidiosi perché “la piattata” verrebbe spontanea sull’uno (insieme alla cassa) ma così salta tutto. E poi lungo tutto il brano ci sono molte figure di cassa e rullante che vanno eseguite secondo la partitura, in particolare ad esempio in corrispondenza del solo di chitarra. Dunque è quello che richiede un po’ meno istinto e un po’ più di attenzione e capacità di lettura, o comunque una certa attitudine a imparare a memoria le parti perché, a differenza dei precedenti, la batteria è meno prevedibile.

In conclusione, con questi 4 brani si può lavorare su un campionario di capacità assolutamente da non sottovalutare quando si suona la batteria, ce n’è abbastanza per divertirsi con alcuni dei pezzi più iconici del genere hard rock e, allo stesso tempo, curare e migliorare tanti aspetti fondamentali – non solo dal punto di vista stilistico – del proprio drumming. 🤟⚡

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