AC/DC, ovvero l’eterno ritorno del sempre uguale… ma succederà davvero anche stavolta?

Stamattina ho sentito alla radio A shot in the dark, il singolo di lancio dell’ultimo album degli AC/DC risalente ormai al 2020. E’ stato un trigger, mi sono detto “E’ arrivato il momento di scrivere quell’articolo sugli AC/DC che volevo fare da tanto”.

Cosa è scattato in me? Nulla in particolare, credo. O forse sì, invece. Una volta di più, da quando ho iniziato a studiare ed appassionarmi di batteria, ho posto attenzione al drumming incredibilmente riconoscibile dei brani degli AC/DC. Praticamente un marchio di fabbrica.

Il groove è solido, quadrato. Lo spazio tra i colpi di cassa e quelli di rullante è sempre meravigliosamente uguale. Il charleston, a volte semi-open altre sfarfallante, ha quel suono pastoso e quel portamento accentato che ricorda un respiro. La batteria, ad un’orecchio inesperto, può suonare molto semplice. Ma muove l’aria e fa rollare il brano. Insomma ha il tiro giusto, e questo non è affatto semplice.

Phil Rudd, il loro batterista storico che suona anche in questo pezzo, è un riferimento per tutti quelli che si cimentano con queste canzoni e con questo genere. Uno degli archetipi della batteria rock. Ci sono migliaia di batteristi tecnicamente più raffinati, fantasiosi, imprevedibili. Ma lui è perfetto per gli AC/DC. Il suo suono, il suo stile, è uno degli ingredienti che definisce la band. Al pari delle chitarre granitiche e taglienti dei fratelli Young o delle parti vocali graffianti prima di Bon Scott e poi di Brian Johnson: la loro musica è puro istinto ed energia rock, niente fronzoli.

Batteria, basso e chitarra ritmica negli AC/DC fanno un treno trascinante e inarrestabile, un pattern costante dentro il quale si muove tutto il resto. Tu sei Angus Young, alla chitarra solista (e sul palco, tarantolato con la iconica divisa da scolaretto) puoi fare tutto quello che vuoi, tanto sai che Phil Rudd lo troverai là, puntuale come un metronomo, con il suo incedere regolare, con la sua espressione impassibile, con la caratteristica postura da fabbro che picchia il rullante manco fosse un’incudine. Una garanzia.

Il punto è che gli AC/DC sono questi praticamente da sempre, sin dal primo album (metà anni ’70). Se ne fregano delle mode, del cambiamento, dell’irrequietezza artistica, di cose del tipo “Cerco di muovermi ogni volta in una direzione musicale diversa dalla precedente per spiazzare il mio pubblico”. Alcuni artisti fanno dell’evoluzione e della ricerca la propria vocazione, molti seguono le mode musicali per restare a galla attraverso i decenni; loro no. Disco dopo disco, singolo dopo singolo, restano fedeli a ciò che sanno fare e che il pubblico si aspetta da loro.

Il vero capolavoro in effetti è continuare ad avere successo facendo ogni volta sempre la stessa cosa, ormai da 45 anni. Pensateci un attimo. I mercati cambiano, i gusti cambiano. L’industria discografica e quella dell’intrattenimento più in generale, la moda come fenomeno sociale e sociologico prim’ancora che di costume o come settore imprenditoriale, funzionano sulla base di questo assunto. Persino la vita funziona così: vivere è divenire.

Evidentemente tutto questo non è sempre vero, e certamente non vale per gli AC/DC. La loro musica così prevedibile sembra ogni volta ribadire ostinatamente un concetto che oggi in troppi troppo spesso rinnegano (chissà poi perché): “Noi siamo bravi a fare quello e faremo sempre quello”. E questo loro atteggiamento è una figata, lo trovo veramente rock! 🤟

Ma veniamo alla stretta attualità. Da tempo hanno annunciato la loro presenza a un festival monumentale con altri nomi dell’hard rock e dell’heavy metal, il Power Trip, che si terrà questo week end in California. Si tratta della prima esibizione live da sei anni a questa parte. Alla batteria però stavolta ci sarà Matt Laug, in passato spesso sul palco con Vasco: un vikingo californiano dalla mano pesante.

Rudd, il batterista storico, pare che negli USA non possa entrare per via dei suoi precedenti penali. Ma la domanda che tutta la community dei fan si sta facendo va già oltre questo mega evento: andranno anche in tour? Dovevano annunciarlo all’indomani di Power Up, l’ultimo disco pubblicato nel 2020, ma poi è arrivata la pandemia e da allora non se ne è saputo più nulla.

Sarebbe stato il tour del grande, ennesimo ritorno sulle scene live di una band capace di risorgere letteralmente dalle sue ceneri più di una volta nel corso della sua lunga storia restando sempre uguale a sé stessa, sempre fedele alla sua formula. Alcuni esempi su tutti, la faccio breve e procedo per flashback.

Passato remoto. Come naturale (si fa per dire) conseguenza a uno stile di vita estremamente dissoluto e dedito (tra gli altri) agli alcolici, nel 1980 muore il primo cantante della formazione, Bon Scott. Dopo soli cinque mesi furono capaci di pubblicare con un nuovo cantante, Brian Johnson, uno degli album più venduti e acclamati della storia del rock, quel Back In Black capace di vendere oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo. Suonando la title track tra l’altro, a un certo punto (credo sia il primo ritornello), ogni volta provo la rara sensazione che la batteria di Rudd tiri un pò avanti… ma forse è solo un mio feeling.

Salto temporale di oltre tre decenni, arriviamo agli anni ’10 del nuovo secolo. A fine 2014 pubblicano l’ennesimo album, Rock or Bust, anticipato da un paio di singoli in heavy rotation alla radio. Ovviamente uguali a tutti gli altri: la prima volta che sentii Play Ball ero in macchina, mi bastarono 5 secondi netti per capire che si trattava di un loro (nuovo) brano.

Con l’album annunciano anche il tour, c’è una data italiana e prendo i biglietti: Imola, 9 luglio 2015, autodromo Dino ed Enzo Ferrari. Ricordo essenzialmente un mare di persone e un gran bordellone, esattamente quello che mi aspettavo e che volevo da un loro concerto. L’audio nel complesso non era granché, ma la batteria era bella presente in primo piano: sentite qua ad esempio che bòtte di cassa.

Alla batteria Phil Rudd non c’era già più (si sarebbe scoperto poi che la giustizia australiana lo perseguitava perché aveva cercato di far uccidere un uomo ingaggiando un serial killer, o qualcosa del genere). Al suo posto dietro il drum kit c’era Chris Slade, che già aveva suonato con loro per cinque anni (e nell’album The Razors Edge) all’inizio degli anni ’90.

Per intenderci, è sua la batteria in un pezzo clamoroso come Thunderstruck (nel mio video qui sopra la intro). Mica robetta. Uno che al Monsters of Rock di Donington 1991 ha suonato Whole Lotta Rosie almeno a una trentina di punti bpm più veloce, un tiro pazzesco.

Insomma non c’era il drummer titolare, ma andava gran bene lo stesso. E c’erano ottime ragioni per tenere gli occhi fissi sulla batteria. Ricordo che a Imola da lontano si distinguevano nitidamente i piatti Paiste neri e le due grancasse gigantesche montate di lato al suo sgabello, che colpiva con le bacchette nella intro di Thunderstruck. Anche la livrea dei tamburi, come dimostra la foto qui di seguito, era chiaramente ispirata proprio a quella canzone. Consentitemi un pò di sano feticismo batteristico: una figata. ⚡

A prima del tour di Rock or Bust risale inoltre l’abbandono della formazione per problemi di demenza precoce da parte di Malcolm Young, chitarrista ritmico e fondatore della band con il fratello Angus. Nonostante la perdita enorme, il formidabile treno degli AC/DC non accusò battute d’arresto: sul palco salì come sostituto il nipote Steve Young, la cosa rimaneva in famiglia e l’operazione sembrò del tutto naturale e legittima.

La stessa cosa non si può dire invece per quello che successe con il tour ancora in pieno svolgimento, a marzo del 2016: Brian Johnson non ci sentiva più. Capite che per uno che di mestiere fa il cantante nella rock band più potente e rumorosa del mondo era un problemino mica da ridere. Stavolta la macchina poteva fermarsi davvero, se non fosse corso in aiuto della band un tale di nome Axl Rose. Sì quello dei Guns n’ Roses, che si offrì di sostituirlo sul palco aiutando la band a finire il tour e tenere provvidenzialmente fede ai propri impegni economici.

La cosa ovviamente fece notizia, a molti fan sembrò davvero discutibile. A rendere il tutto più surreale fu la circostanza che, in occasione dei primi concerti con la band, il nuovo cantante dovette esibirsi praticamente immobile, comodamente (si fa per dire) seduto su una poltrona per via di una gamba ingessata a causa di una frattura.

A dispetto di ciò, e di uno stato di forma imbarazzante, pare che Axl Rose si dimostrò estremamente affidabile e fornì un apporto artisticamente dignitoso. Certamente salvò la barca, che perdeva un pezzo dopo l’altro e rischiava di affondare sotto il peso della propria notorietà. Lo ammise anche Angus: “Quel ragazzo ci contattò per offrirsi come cantante e gli sarò per sempre grato per averlo fatto”. E per Axl deve essere stata la realizzazione di un sogno.

Nel settembre 2016 infine si diffuse la notizia che anche Cliff Williams, il bassista di sempre, si sarebbe ritirato dalle scene, e a quel punto la band – o meglio ciò che ne rimaneva (praticamente il solo Angus Young) – sembrava davvero spacciata.

Ma ecco nel 2020 l’ennesimo colpo di scena: la notizia sui social del nuovo album degli AC/DC, Power Up, lanciato dal solito singolo sempre uguale. Si tratta proprio di quel “A shot in the dark”, che ho citato in apertura e che dunque chiude – per così dire – il cerchio del mio articolo… (ma non la storia).

Alla batteria figurava nuovamente Phil Rudd, e per l’occasione Cliff Williams era tornato dalla pensione. Ma soprattutto, incredibilmente, uno scienziato grande fan della band aveva contattato Brian Johnson e, lavorando con lui, era riuscito a mettere a punto degli speciali in-ear monitor che risolvevano il suo problema all’udito e gli consentivano persino di tornare a esibirsi sul palco.

E infatti era tutto pronto per l’annuncio del nuovo tour. Ma purtroppo il resto è storia recente, riassumibile con una parola che tutti conosciamo e ricordiamo ancora bene: Covid-19. L’anno scorso in una intervista Brian Johnson ha dichiarato: “Eravamo pronti due anni fa, per tre mesi abbiamo suonato insieme praticamente ogni giorno per prepararci. Poi è arrivata la fottuta pandemia e ha rovinato tutti i piani”. Rimettere in moto un mostro come la macchina da tour di una rock band di queste dimensioni non dev’essere semplice, “Mi piacerebbe, ma non sappiamo cosa succederà”.

La domanda ad oggi è ancora priva di una risposta: torneranno finalmente on the road? Sarà annunciato questo benedetto nuovo tour che non le vicissitudini personali dei membri della band, ma una tragedia mondiale chiamata COVID è riuscita a fermare? Dopo il Power Trip, rivedremo ancora dal vivo l’inossidabile treno rock n’ roll degli AC/DC?

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