Ci sono luoghi che ti restano dentro. Anche quando i dettagli svaniscono insieme ai ricordi, con il passare degli anni. Il Bryce Canyon, nello Utah, è uno di questi. Ne sono passati più di dieci e molte cose sono andate perse nel tempo “come lacrime nella pioggia”, eppure ho ancora vivida e presente la sensazione di meraviglia che provai quando mi affacciai dal primo punto panoramico.
Durante i miei viaggi negli States l’ho visitato due volte, in due vite diverse (e in due modi diversi). La prima, nel 2013, ero con il mio amico Simone. In sella alle nostre Harley, in quel viaggio, conoscemmo l’euforia dell’avventura e della libertà. Eravamo davvero poco coscienti della bellezza dei luoghi teatro delle nostre gesta, perdonate l’enfasi, e allo stesso tempo molto confidenti in noi stessi.
Voglio dire, entrambi avevamo un’idea di cosa fosse il Grand Canyon e volevamo a tutti i costi vedere dal vivo il profilo iconico delle torri di arenaria rossa della Monument Valley. Ma per il resto non è che fossimo molto preparati ai posti che incontrammo lungo la strada. Ad esempio sulla 66 ci finimmo senza rendercene conto, e di Bryce non sapevamo praticamente nulla.
Era la sesta tappa del nostro percorso, ormai eravamo in pieno flow motociclistico. Venendo dalla Monument, a Page facemmo una breve sosta alla diga di Glen Canyon e decine di foto da un punto panoramico sul lago Powell, mentre ignorammo incredibilmente sia la Horseshoe Bend che i due Antelope Canyon (lo racconto in questo articolo… ve l’ho detto, eravamo inconsapevoli). Così, piuttosto presto nel pomeriggio, prendemmo possesso della camera al lodge e proseguimmo per il parco.
Il Bryce è un parco piuttosto piccolo, al punto che il sentiero sull’orlo che collega i punti panoramici può essere percorso a piedi nell’arco di una mezza giornata. E a dispetto del nome non è un canyon, ma il margine di un altipiano di forma semicircolare. E’ famoso per gli hoodoos, solo che io non li conoscevo affatto. Sotto di me, e di fronte a me, una specie di anfiteatro naturale pieno di gruppi di alti pinnacoli di pietra arancioni dalle forme bizzarre, scolpiti dalla natura e dall’erosione dovuta agli agenti atmosferici.
Tra un punto di osservazione e l’altro, ricordo anche che per la prima volta dall’inizio del viaggio ci scambiammo le Harley che ci erano state assegnate a Los Angeles, 5 giorni prima. Eravamo euforici e spensierati, Simone disse che sembravamo due quattordicenni che si scambiano gli scooter (il mood era praticamente quello in effetti) ed ebbi modo di constatare anche come la sua Fat Boy, nonostante montasse uno shield, fosse molto meno confortevole dalla mia Road King da guidare.
Ci fermammo in più punti, fino ad arrivare a quello opposto (Rainbow Point) rispetto a quello da cui eravamo arrivati (Sunrise Point). A quell’ora il sole stava già scendendo e il profilo dall’alto dei “camini delle fate” assunse un aspetto ancora diverso. Immortalammo nuovamente quello spettacolo insolito e bizzarro da un’altra prospettiva, ma prima dovemmo attendere pazientemente che un giapponese che era lì da un’ora con treppiede e reflex super professionale liberasse il campo.
Fatto ciò, non indugiammo oltre né prendemmo in considerazione l’idea di scendere nel canyon e vedere gli hoodoos da vicino. Era già tardi nel pm e il nostro programma di viaggio, il giorno dopo, prevedeva una tappa piuttosto intensa che ci avrebbe riportato giusti giusti a Las Vegas per il bike drop off entro le 16.00.



La seconda volta al Bryce, come ho accennato in apertura, le circostanze erano completamente diverse. La mia vita era cambiata un bel pò un bel pò, al punto di sembrare un’altra. Era il 2015, tornai su quelle strade ma con la mia compagna ed eravamo con una Mustang decappotabile rosso fiammante, solo per dirne una.

Un viaggio dal ritmo diverso, tornavo in alcuni di quei luoghi magici che avevo scoperto pochi anni prima per condividerli con lei. E per visitarli un pò meglio, visto che le volte precedenti di fatto mi ero limitato a scattare qualche foto dai punti panoramici, risalire in sella e tornare a macinare miglia in modo quasi compulsivo.
Al Gran Canyon, ad esempio, stavolta avevo progettato e prenotato un giro in elicottero. A Page ci fermammo una notte, così ebbi modo di recuperare ciò che mi ero perso due anni prima e visitare le attrazioni imperdibili della Horseshoe Bend e dell’Antelope Canyon.
Al Bryce, invece, desideravo scendere nell’anfiteatro percorrendo a piedi i ripidi trail che si infilano tra le alte formazioni rocciose. In un certo senso ci tuffammo nel canyon, e anzi dal basso si capisce perché Bryce abbia questo nome pur non essendolo: la sensazione in alcuni punti della discesa (o della risalita) è proprio quella di essere tra le pareti di una gola.











Il percorso più frequentato, il Navajo Loop Trail, in un paio di ore permette di scendere sul fondo passando vicino alle formazioni rocciose più celebri, oltre che di ammirare scorci inattesi: si incontrano Thor’s Hammer, Three Sisters, Wall Street, Silent City (non necessariamente in quest’ordine) e poi si risale al punto di partenza. Un’esperienza del tutto diversa dunque. Meno contemplativa; proprio come quando non ti limiti a scoprire per la prima volta qualcosa osservandola dall’alto ma decidi di sostenere la fatica necessaria ad approfondirla, scendendo nei dettagli e osservandola da dentro (o da sotto, o da vicino). Certamente più faticosa, come si deduce anche dalle foto scattate da Vale.
Per il resto, di quelle due volte non ricordo molto altro. A distanza di anni i dettagli si confondono, le curve della strada si sovrappongono, i nomi dei viewpoint sfumano. Quello che resta sono echi sbiaditi: del vento sui punti panoramici e tra gli hoodoos, delle parole scambiate con chi avevo accanto, dei pensieri che mi giravano in testa mentre ammiravo quello che avevo di fronte.
Tornare in quel luogo due volte è stato un po’ come rileggere una pagina che ti aveva colpito tempo addietro. La frase è la stessa, ma ora ti parla in modo diverso. Perché non è il posto ad esser cambiato: sei tu che hai nuovi occhi, nuove attese, nuove prospettive.
Bryce è così da sempre, da molto prima che un uomo potesse provare lo stupore e la meraviglia che avevo provato anche io. Di certo non era cambiato rispetto a due anni prima. Così alla fine, quando ci ripenso, mi dico che le seconde volte non servono a inseguire ciò che hai già vissuto, a rivivere le stesse emozioni, ma a provarne di nuove.














Una opinione su "Sul Bryce Canyon: i viewpoint e i sentieri più belli. E sulle seconde volte…"