Qualche tempo fa riflettevo sulla cessione dei diritti sull’intero catalogo Pink Floyd da parte dei legittimi proprietari (i 4 musicisti e/o loro eredi) alla Sony per una cifra intorno ai 400 milioni di dollari. Di lì a poco sarebbe uscito “Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII”, una versione restaurata e rimasterizzata del leggendario film-concerto del lontano 1972.
Il film è stato proiettato nei cinema di tutto il mondo a partire dal 24 aprile 2025, soprattutto sono state rilasciate le versioni in Blu-ray, DVD, CD e vinile, rendendo disponibile per la prima volta la colonna sonora del concerto come album autonomo.
In quella occasione, da grande fan della band e da marketer, feci delle veloci considerazioni su quella che si prospettava come una straordinaria operazione commerciale e di marketing:
- Dal “NO marketing” al “marketing ON” (anzi, al “marketing deluxe”).
Storicamente i Pink Floyd sono sempre stati molto cauti sul licensing e poco inclini alla mercificazione del loro catalogo. Questo ha creato un’aura di rarità e autenticità che la Sony può sfruttare con grande intelligenza: ogni “nuova” uscita (proprio come questo Pink Floyd at Pompeii) non sarebbe stata percepita come l’ennesima operazione commerciale, ma come un vero e proprio evento. - Alta profittabilità del collezionismo e dei formati fisici.
Mentre lo streaming è ipercompetitivo e ha margini ridottissimi, vinili, cofanetti deluxe, Blu-ray e ristampe sono un terreno fertilissimo: chi compra è disposto a pagare il famoso premium price (e i fan storici hanno alto potere d’acquisto); i costi di produzione sono minimi rispetto al potenziale margine; edizioni limitate, alternate color… le possibilità sono pressoché infinite, il collezionismo è un driver fortissimo in questa nicchia. - Nostalgia marketing + timeless brand.
I Pink Floyd sono tra i pochissimi artisti rock che riescono a trascendere le generazioni: i boomer sono cresciuti insieme a loro, la genX li conosce bene, i millennial più colti li riscoprono con occhi pieni di fascino vintage e rispetto, e persino alcuni gen Z stanno entrando nel culto grazie a YouTube, TikTok e alla passione da parte dei più giovani per il vinile.
Non bisogna essere un fan della band per capire che per Sony il brand Pink Floyd è una formidabile eredità da attivare. Non dimentichiamoci inoltre che il deal include anche i diritti d’immagine. Questo apre scenari facilmente prevedibili: merchandising, docuserie, biopic, o persino esperienze immersive come AR/VR e mostre digitali (la mostra vera e propria, con memorabilia e oggetti di scena “reali”, è già in giro da qualche anno).
In breve, mi sembrò evidente che Sony ha messo le mani su una vera “cash cow”, una fonte di ricavi stabili, prevedibili, con bassi costi operativi e un altissimo valore percepito dal mercato. Tra l’altro il prezzo pagato è sorprendentemente basso (David Gilmour voleva a tutti i costi liberarsi dell’ultimo asset che ancora lo obbligava ad avere a che fare con Roger Waters…), se raffrontato ad altre operazioni simili viste di recente. Mi piacerebbe sapere in quanti anni hanno pianificato di raggiungere il break even, ma ho avuto sin da subito il sospetto che i conti li hanno fatti molto, molto bene.
Non è servito molto tempo, per averne una conferma. Pink Floyd at Pompeii é stato un clamoroso successo. Il disco in particolare è andato in testa alle classifiche di vendita in tutti i mercati più importanti, tutti (sia i normali fan che gli esperti audiofili) ne hanno lodato la straordinaria qualità sonora grazie al lavoro di pulizia e cesellatura fatto sui nastri originali da Steven Wilson.
Personalmente non ho resistito al richiamo di questa “nuova” uscita. Ho comprato una copia in vinile e una seconda l’ho regalata, l’audio è assolutamente fantastico e il prodotto – dalla copertina al gatefold – é davvero ben confezionato e rifinito. Come se ciò non bastasse, ovviamente sono andato anche a vederlo al cinema, il film, pure quello restaurato.
Vedere i Pink Floyd andare al numero uno 54 anni dopo quell’ormai mitico concerto “sui generis” non mi ha affatto sorpreso: lo ripeto, da parte della Sony era tutto molto ben calcolato. Pompeii è il disco che era sempre mancato nella loro discografia ufficiale. Il dvd del film (uscito nei ’90 credo) è stato letteralmente consumato da milioni di fan, essendo per tanti decenni praticamente l’unica testimonianza live della band negli anni d’oro. Io l’avrò visto una decina di volte, sognando ogni volta di essere lì con loro, in quell’arena di pietra deserta in mezzo alla polvere.
Per inciso, sull’onda del successo dell’iniziativa e sempre al cinema, la Sony ha fatto uscire anche i concerti degli ultimi tour solisti di Waters e Gilmour, ma quelli ho resistito e non sono andato.
Tutto questo accadeva lo scorso maggio. Ora é da poco uscito “Wish You Were Here 50” ed è stato un altro clamoroso successo, ma a differenza del precedente in questo caso va detto che – a mio parere – l’esito non era scontato. Si tratta infatti di una reissue celebrativa acquistabile in vari formati per i 50 anni di Wish You Were Here (uscito nel 1975) e non di un disco – come Pompeii – che tutti hanno sempre voluto e nessuno ha mai avuto. Tra l’altro c’è anche un precedente molto ben fatto: il cofanetto “Wish You Were Here – Immersion Box Set” del 2011, in cui fu già pubblicato interessante materiale inedito e nuovi mix. Bene, WYWH50 é andato pure lui in testa in vari paesi (tra cui l’Italia) ed è stato dichiarato UK’s Christmas Number 1 album for 2025.
Il super cofanetto in particolare, come si vede da questo unboxing, è una figata. Oltre al solito confezionamento di gran pregio, la casa discografica si é sbizzarrita alla grande sul piano del marketing. Due esempi su tutti: l’apertura di pop up store dedicati al disco a Londra, Berlino, Barcellona, Milano e Beverly Hills dove si vendeva davvero di tutto, oltre ad una edizione in vinile bianco a tiratura limitata; e un merchandising che oserei definire parossistico, non solo negli store ma anche online, va bene magliette e tazze ma confesso che il set con il sigillo in ceralacca io non l’avevo mai visto (e non riesco a immaginare a chi possa interessare comprarlo).
Ma a parte questo, anche dal punto di vista musicale hanno messo dentro tanta roba fin qui inedita. Wine Glasses (l’esperimento sonoro con i bicchieri dal progetto abbandonato Household Objects, che verrà recuperato nella part I di Shine On You Crazy Diamond) e la versione di Have a Cigar cantata da Waters e Gilmour (anziché da Roy Harper, guest vocal sul disco) erano già state pubblicate nel 2011, come pure il tentativo (molto poco riuscito) di Stephane Grappelli di suonare il violino nella title track.
Ma ci sono ben 6 tracce studio inedite (alternate/demos/outtakes) che non erano nell’Immersion Box Set del 2011, e che fanno la felicità di noi fan accaniti perché consentono di valutare i brani della tracklist finale nel loro work in progress:
- Shine On You Crazy Diamond (Early Instrumental Version, Rough Mix)
- The Machine Song (Roger’s Demo)
- The Machine Song (Demo #2, Revisited)
- Wish You Were Here (Take 1)
- Wish You Were Here (Pedal Steel Instrumental Mix)
C’è poi anche un live, registrato da un famoso bootlegger dell’epoca alla Los Angeles Sports Arena nel 1975 e sistemato dal solito Steven Wilson. Si apre con Raving and Droling e Gotta Be Crazy (che saranno scartate per l’album, rielaborate in studio in seguito e inserite nel successivo album Animals con i titoli di Sheep e Dogs). Seguono Have a Cigar cantata da Gilmour e Waters e la suite Shine On You Crazy Diamond (che non aveva ancora assunto la sua forma definitiva). C’è poi l’esecuzione integrale di The Dark Side of The Moon e – come encore conclusivo – Echoes (che ormai suonavano da molti anni e in cui, probabilmente con l’intento di rivisitarla e rivitalizzarla, le parti di chitarra vengono suonate dal sassofono di Dick Parry).
Dunque un documento audio di grande interesse, che ci sta tutto in un progetto con intenti filologici oltre che celebrativi. Tuttavia la qualità da bootleg (incredibilmente, registrazioni ufficiali dei concerti di quegli anni i Floyd non ne hanno fatte) e il fatto che praticamente tutto questo materiale “pirata” era già da anni disponibile su decine di canali YouTube me lo hanno reso meno wow.
Ma torniamo alla Sony, e al marketing. I risultati di vendita di WYWH50 configurano un esito paradossale, ovvero il ribaltamento del concept del disco (legato al tema dell’assenza, della mancanza, della perdita). La band non esiste più e i titolari hanno venduto i diritti sulla musica, ma per la prima volta in oltre 60 anni di storia si ritrovano con due dischi al numero uno nello stesso anno.
La band è assente ma presente, nelle classifiche di vendita e nell’affetto dei fan. Potere della loro musica, ma anche del brand Pink Floyd e del buon marketing della casa discografica, che ha saputo attivarne l’heritage e ora sta mungendo la mucca, per dirla con la matrice BCG. Però con gran classe, bisogna ammetterlo. Chapeau.
Il punto ora è il seguente. Il prossimo anniversario discografico, i 50 anni di Animals, arriverà soltanto nel 2027. Si tratta tra l’altro che un disco con un remix recentissimo (2018) pubblicato in anni ancora più recenti, ovvero nel 2022 a causa delle vicissitudini che ricostruisco in questo articolo del mio blog. Raving and Droling, Gotta Be Crazy, e persino la versione con le due parti di Pigs On The Wing unite dall’assolo del chitarrista aggiunto Snowy White sono già pubblicate, o comunque disponibili su YouTube, quindi di inedito per fare una ulteriore reissue celebrativa c’è ben poco. E per i 50 di The Wall, altro immenso capolavoro per festeggiare il quale sicuramente la Sony farà i fuochi d’artificio, c’è da aspettare altri quattro anni: decisamente troppi.
Cosa faranno adesso? Quale sarà la prossima mossa della Sony? Da marketer, ma soprattutto da appassionato della band (quindi appartenente al target che devono colpire) mi sono divertito a fare delle previsioni. Eccole qui di seguito.
1. Pubblicherà finalmente The Man and The Journey.
PROS. L’audio di partenza è molto buono, non peggio di quello da cui in anni meno recenti è stato ricavato The Wall live, e Steven Wilson potrebbe migliorarlo ulteriormente. Inoltre la vicenda offre molti spunti per uno storytelling promozionale, cosa da non sottovalutare e in cui i marketer della Sony si sono rivelati davvero bravi (i contenuti digitali realizzati per Pompeii e WYWH50 sono fantastici).
CONS: a differenza di Pompeii, che fu subito leggenda, è un concerto sconosciuto persino alla stragrande maggioranza degli appassionati dei Pink Floyd; un episodio interessantissimo ma sperimentale, con tutte le incertezze e i limiti del caso, dunque con un appeal inferiore presso il grande pubblico e un potenziale commerciale tutto da dimostrare.
2. Pubblicherà come ufficiali le registrazioni “BBC Archives”.
PROS: una cosa simile é presente anche nella discografia ufficiale dei Led Zeppelin, con Jimmy Page che nel 1997 (a band abbondantemente sciolta) curò personalmente il remix e la pubblicazione di sessioni radiofoniche registrate live in studio risalenti a oltre 25 anni prima. Anche i Pink Floyd a più riprese andarono da John Peel, mitico dj di quegli anni. Tra i fan più accaniti sono molto note le registrazioni per la BBC al Paris Cinema di Londra del 16 luglio 1970 e del 30 settembre dell’anno successivo (che ho la fortuna di avere su cd).
CONS: è stato appena pubblicato Pompeii, risalente più o meno allo stesso periodo, con un fascino notevolmente superiore e molti brani in comune. Però (contro argomentazione) nelle sessioni alla BBC ci sono due vere chicche: Embryo, un brano che suonarono molto dal vivo in quegli anni ma curiosamente non é mai finito in nessun album ufficiale, e l’intera suite Atom Heart Mother con tanto di archi, fiati e coro (tantissima roba… i fan sanno di cosa si tratta).
Le registrazioni di partenza e le esecuzioni sono anche in questo caso di buona qualità, dunque mi sbilancio: questo progetto ha delle credenziali piuttosto valide…
3. Farà un biopic sulla storia della band e sul diamante pazzo Syd Barrett, o sulla faida infinita tra Roger Waters e David Gilmour.
PROS: cavalcare l’onda, sfruttando cose recenti di buon successo fatte su Elton John e sui Queen o su Bob Dylan, anche se personalmente ho trovato di gran lunga superiore a tutte e persino impressionante l’interpretazione di Bruce Springsteen da parte di Jeremy Allen White nel recentissimo film sul Boss uscito nelle sale il 24 ottobre di quest’anno. Gli spunti offerti dalla lunga storia floydiana non mancano, non c’è che l’imbarazzo della scelta.
CONS: i quattro Pink Floyd hanno sempre avuto un profilo personale molto basso, per non dire anonimo, anche sul palco; non avevano un front man che trascinava il pubblico, l’esperienza complessiva (musica, luci, video, trovate sceniche) contava più della performance dei singoli. Inoltre erano degli anti divi, Bob Ezrin una volta disse che avevano lo stile di vita di un medio impiegato di banca londinese… insomma non saltellano su e giù per il palco come Freddy Mercury al Live Aid, e non stordiscono le folle con tre ore ruggenti di concerto come il Boss. Un film sulla loro vicenda umana e artistica risulterebbe probabilmente un pò cervellotico e non di immediata fruibilità.
4. Annuncerà un nuovo tour dei Pink Floyd…
Una cosa simile a quello che è stato fatto con gli ABBA, che non a caso va avanti dal 2022 e proseguirà per tutto il 2026, con gli avatar digitali al posto dei musicisti. Del resto pensate alla surrogate band degli show di The Wall, non erano anche quelli degli alter ego? E in giro é pieno di tribute band che si contendono il titolo di “The real Pink Floyd experience”… qui c’è un video che ho fatto al concerto di Roma dei Pink Floyd Legend lo scorso maggio, mettevano in scena nientemeno che The Wall (uno show con una produzione diciamo impegnativa) e guardate a che livello lavorano… Loro in particolare vanno avanti da metà anni 2000 e sono bravissimi, ma ce ne sono tante altre. In breve, c’è tanta fame di Pink Floyd là fuori.
Il botto sarebbe clamoroso: una reunion è impossibile per tante ragioni (ormai anche anagrafiche) e i fan di tutto il mondo lo sanno bene; sono dispiaciuti, ma mica tanto rassegnati. La Sony sorprende tutti con un nuovo tour mondiale di concerti virtuali legacy-artist: i 4 musicisti sono fedelmente riprodotti nelle loro giovanili pose e fattezze attraverso degli avatar digitali fotorealistici, che eseguono alla perfezione (oltretutto senza litigare…) un concerto del mitico tour del ’75. Quel concerto che i veri Pink Floyd non hanno mai registrato (infatti per WYWH50 la casa discografica ha dovuto usare un bootleg) e per assistere al quale milioni di fan in tutto il mondo pagherebbero letteralmente oro.
Il contro in questo caso é essenzialmente uno, a differenza degli altri scenari: gli alti costi di sviluppo di un prodotto realmente nuovo, per quello degli ABBA ad esempio ci sono voluti 3 anni di lavoro e non so quale investimento. Ma sarebbe ampiamente ripagato anche in virtù della sua scalabilità, come si dice nel business, cioè il fatto che sarebbe replicabile all’infinito con costi marginali a quel punto molto bassi, e anche in più luoghi contemporaneamente.
Delle quattro, dico chiaramente che questa ipotesi é la mia preferita e anche la più suggestiva, in pieno stile Floyd se ci pensate. Assenti ma presenti, anche dal vivo (oltre che nelle classifiche di vendita) a distanza di mezzo secolo. Degno seguito concettuale di WYWH50, dunque. Ma anche di Pompeii: quello era un concerto dal vivo in un luogo morto, qui si tratta di riportare in vita una band sostanzialmente morta.
E poi i Pink Floyd sono sempre stati all’avanguardia nell’uso della tecnologia e di effetti di ogni genere, tanto in studio di registrazione quanto nell’allestimento dei loro show. Sono sicuro che non avrebbero snobbato le tecnologie AR/VR nei concerti live, se fossero esistite ai loro tempi.
E voi, appassionati floydiani di lungo corso, che ne pensate? Quale vorreste che fosse la prossima mossa della Sony?