Ognuno di noi ha i suoi muri. Il punto vero è provare ad abbatterli.

I Pink Floyd sono di gran lunga la mia band preferita. Non credo abbia molto senso provare a spiegare perché: ognuno ha la sua, o le sue; e poi finirei per scrivere troppo, se provassi ad elencare tutte le ragioni di questa mia profonda passione nei loro confronti. Intendo invece scrivere qualcosa su una loro particolare canzone che, oltre a darmi i brividi lungo la schiena ogni volta che la sento, stimola in me delle riflessioni che vanno oltre le qualità musicali del pezzo. Sto parlando di Comfortably Numb, mi auguro sinceramente per voi che la conosciate.

Non starò qui a farne la disamina musicale, anche perché non ne sono onestamente all’altezza; del resto questo è il mio blog, mica Rolling Stones. Voglio invece scrivere di cosa rappresenta e dei suoi significati, che col passare del tempo si sono intrecciati in modo imprevedibile con le biografie degli autori e con quelle di tutti gli appassionati dei Pink Floyd.

Un po’ di contesto. Comfortably Numb è stata pubblicata nel 1979 (l’anno in cui sono nato) nell’album The Wall. E’ frutto della collaborazione tra Roger Waters, bassista del gruppo, ideatore del concept del disco e autore della maggior parte dei brani che lo compongono, e David Gilmour, chitarrista, che ha contribuito anche alla scrittura di 3 pezzi dell’album.

Gli equilibri in seno alla band non sono sempre stati questi, chi sa di Pink Floyd lo sa, e non serve che sia io a ricostruire la faccenda dall’inizio; anche gli altri membri in passato avevano contribuito attivamente alla scrittura della musica, in particolare il tastierista Richard Wright, arrivando a creare una cifra stilistica molto riconoscibile, ancorché mutevole perché caratterizzata dalla continua ricerca e sperimentazione sonora. A dispetto di questo, il suono dei Pink Floyd è ancor oggi una specie di marchio di fabbrica, ed era frutto del contributo di tutti i componenti, chiaramente in misura variabile: il batterista Nick Mason lo ha ripetuto in molte occasioni, “L’insieme era molto più che la somma delle singole parti”.

Come molti del resto, il disco che mi ha fatto conoscere i Pink Floyd non è però The Wall, bensì il capolavoro del 1973 The Dark Side Of The Moon. Sono molto affezionato al ricordo di mio padre che, avrò avuto forse dieci anni, me ne consigliava in modo molto discreto (era il suo stile) l’ascolto. Era il suo disco preferito, ma non ne conosceva molti altri della band. Almeno non arrivò mai alla conoscenza quasi maniacale dell’intera discografia floydiana, a cui invece sono arrivato io. Semplicemente per lui era un gran disco di ottima musica rock (anzi, di ottima musica e basta), gli piaceva e lo ascoltava. Non era mai andato a cercare di capire chi fossero i musicisti, che storia avevano, qual era la loro data di nascita o altre cose da fan accanito. Un approccio decisamente più laico insomma, e anche meno morboso (lo riconosco).

Comunque dopo quel suggerimento, in realtà mi innamorai di loro consumando una cassetta (oggi sono degli autentici reperti di un passato analogico di cui fai persino fatica a ricordare qualcosa) su cui un amico di mia sorella aveva registrato la sua personale compilation di quelli che evidentemente riteneva i brani più rappresentativi della band. C’erano sopra anche cose più recenti di The Wall, e Confata Bly Numb (ricordo che il titolo era trascritto a mano in questo modo, sulla label interna della custodia di plastica) fu una di quelle che mi piacque subito.

Erano i primi anni ’90, per la cronaca. I Pink Floyd non pubblicavano da diversi anni, poi incredibilmente riemersero dalle secche creative nel 1994 con un nuovo album: The Division Bell. Io avevo precisamente 15 anni, e ovviamente non mancai quando il tour mondiale fece tappa a Roma, piscine di Cinecittà, precisamente il 21 settembre del 1994. Fu un concerto clamoroso, se avete visto il dvd Pulse capite perfettamente cosa intendo. Fu il primo della mia vita tra l’altro, partenza col botto! E il solo finale di chitarra di Comfortably Numb, dilatato all’infinito da Gilmour come sempre faceva negli show dal vivo, fu devastante.

Ma torniamo a The Wall. In anni recenti ho letto parecchio materiale in cui i due autori raccontano la tormentata genesi del brano. Secondo Bob Ezrin (il produttore del disco) avevano delle serie divergenze di vedute circa l’arrangiamento e il mood generale da dare a Comfortably Numb, cosa peraltro minimizzata da Gilmour in un paio di circostanze. Semplicemente ormai erano ai ferri corti, litigavano su tutto in modo quasi sempre inconciliabile. Il loro rapporto umano e professionale si era logorato negli anni. Roger Waters aveva preso prima il sopravvento sugli altri membri della band in fatto di direzione artistica, e infine il controllo totale delle operazioni.

The Wall è una sua opera, con una evidente ispirazione in parte autobiografica. Nella situazione che si era venuta a creare, per David Gilmour era diventato difficile esprimersi musicalmente: aveva i suoi modi e i suoi tempi (mentre Waters era un rullo compressore), e le buone idee che gli venivano doveva difenderle con le unghie e con i denti. Erano ormai lontani i tempi di Dark Side, in cui con grande unione d’intenti tutti contribuivano, ciascuno per la loro parte, a un risultato d’insieme incredibilmente equilibrato e straordinariamente riuscito.

The Wall non è così. E’ un disco sbilanciato, esagerato, persino difficile da ascoltare in certi momenti. Del resto è una rock opera; a differenza dei concept album del passato, le canzoni non sono semplicemente accomunate da una o più tematiche che percorrono l’intero disco, ma raccontano una storia. C’è un intreccio, un climax narrativo e un finale dai toni molto teatrali.

La storia, per inciso, è quella di un essere umano vittima di sé stesso, dell’alienazione e dell’incapacità di comunicare e relazionarsi in modo sano con il prossimo. Le paure, i traumi infantili e i fallimenti adolescenziali, le pressioni e le esperienze negative della vita adulta. Ogni cosa è una canzone, un mattone nel muro psicologico che il protagonista costruisce per proteggere il suo fragile ego, col risultato di isolarsi completamente da tutto e tutti, fino a ritrovarsi in una spirale autodistruttiva di ossessioni e paranoie. Non esattamente una roba alla Queen o alla Kiss, per capirci.

Durante i concerti del tour di The Wall, nel 1980/81, i Pink Floyd riproponevano fedelmente questa vicenda sul palco, con tanto di innalzamento di un muro di mattoni bianchi tra la band e il pubblico. Fu una trovata scenica molto innovativa all’epoca, che aprì la strada alla trasformazione del concerto rock da “semplice” performance musicale a rappresentazione spettacolare e multimediale; in cui peraltro il pubblico aveva un qualche ruolo, se pensiamo che il protagonista della storia concepita da Waters (di nome Pink) di mestiere faceva la rockstar.

Con Comfortably Numb siamo quasi all’apice di questa vicenda. Pink è in stato catatonico, totalmente intorpidito, la sua mente vaga chissà dove, il suo corpo è piacevolmente insensibile a ogni stimolo o sensazione. Lo chiamano in scena, ma a stento capisce cosa sta succedendo e si abbandona ai ricordi d’infanzia che si sovrappongono ai deliri presenti. Strofa-ritornello, breve assolo di chitarra centrale; poi di nuovo strofa-ritornello e infine quello che secondo molti non è semplicemente il miglior assolo di sempre di David Gilmour, ma uno dei più celebri assolo della storia del rock tout court. Di lì a breve, nello sviluppo narrativo del disco, Pink avrà un crollo nervoso a seguito del quale dovrà fare i conti con i demoni interiori, per poi abbattere il muro dietro cui si è rifugiato ed esporsi, con tutte le sue fragilità di essere umano, ai propri simili.

1980, Los Angeles, California, USA — Pink Floyd at the Los Angeles Sports Arena — Image by © Neal Preston/Corbis

Pensateci bene, non è paradossale il fatto che a scrivere una canzone così importante nell’economia di una storia che parla di abbattere i muri che separano le persone siano due individui ai ferri corti, incapaci di collaborare costruttivamente, comunicare assertivamente e ormai al capolinea del loro sodalizio artistico? Dopo The Wall ci sarà ancora un album a firma della band, The Final Cut; ma tutti sanno che è praticamente un album solista di Waters, dove Gilmour piazza soltanto qualche magistrale pennellata chitarristica. Nel 1985 Waters esce dalla band e presume che senza di lui dei Pink Floyd non rimanga più nulla. Il muro in The Wall crolla, evidentemente nei rapporti tra Waters e Gilmour invece non è andata così. Seguirà una lunga e violenta causa legale, passata anche quella alla storia, con la quale il bassista cercherà di impedire agli ex compagni di band di proseguire l’attività con il nome Pink Floyd.

Comfortably Numb nel frattempo divenne il cavallo di battaglia di Gilmour nei suoi tour lontano dai Pink Floyd: fu sin da subito la sua signature song, il capolavoro assoluto, l’orgasmo chitarristico con cui, già dal 1984, chiudeva tutti i suoi concerti da solista. E, per ammissione stessa di Mason, è anche il pezzo suonando il quale lui e Gilmour hanno riacquisito fiducia per la ripartenza post Waters. Nei due tour successivi come Pink Floyd, Comfortably Numb sarà sempre eseguita negli encore dei concerti. Accadde nel tour di fine anni ’80, e nello storico e molto discusso concerto su una chiatta galleggiante nel bel mezzo della laguna di Venezia. Io ero ancora troppo piccolo. Ma la ricordo ancora invece, nel 1995, a Cinecittà: 60 mila persone in trance, per i fan è così ogni volta che parte quell’assolo.

Be’, ad esser precisi non è del tutto vero. Anche Waters infatti, rivendicandone a buon diritto la co-paternità, nei suoi tour da solista l’ha sempre riproposta dal vivo. Esistono decine di versioni, visibili su Youtube, di questa canzone (magari in futuro pubblicherò una playlist). Bene, il tocco e il suono di Zio David (ogni tanto mi scapperà di chiamarli affettuosamente zii, per me è come se lo fossero…) sono inarrivabili. Anche se la fai nota per nota come nel disco, lo senti subito che non è lui a suonarla. Waters le ha provate tutte: l’ha fatta fare anche a due chitarristi diversi, che fraseggiavano e si passavano il testimone nel corso dell’assolo. Idea interessante, ma posso testimoniare avendola ascoltata dal vivo diverse volte, che nelle sue esecuzioni di Comfortably Numb c’era sempre qualcosa che ti lasciava perplesso, eri sempre lì che dicevi “Ecco l’assolo… Sì, ma non è Gilmour”.

E lo zio Dave? A parte una breve serie di concerti semi-acustici nel 2002, ha pubblicato due fortunati album solisti nel 2006 e nel 2015 ed è andato in tour, suonando ovviamente il pezzo nei finali, con la solita devastante precisione, rimescolando i fraseggi ma mantenendo fondamentalmente inalterata la magia, lo sviluppo, il crescente pathos del suo celebre assolo.

I suoi tour degli anni 2000 sono stati caratterizzati dalla scelta di location sempre molto particolari e un pò insolite. Nel 2006 in Italia suonò con la sua band in centro a Firenze. Con lui c’era anche Richard Wright, e dopo il concerto tutto l’entourage andò a mangiare in un ristorante con dei grandi vetri affacciati sulla strada. Noi tornavamo a piedi e li vedemmo da molto vicino, quella sera faceva parte della loro compagnia una persona che, per una strana coincidenza astrale che non vi sto a raccontare, conosceva bene l’amico con cui ero: c’è mancato davvero poco che li conoscessi! Circa 10 anni dopo lo vidi ancora a Roma nella splendida cornice del Circo Massimo (due anni più tardi vi suonò anche zio Rog), dove fece tappa un tour trionfale che si sarebbe concluso con due date nell’anfiteatro di Pompei, circa 45 anni dopo lo storico film concerto Pink Floyd Live at Pompeii.

Ma tra tutte le versioni che Roger Waters e David Gilmour hanno proposto in anni recenti, ce ne sono due scolpite nella storia della musica rock e nel cuore dei fan. La più emozionante e bella in assoluto è quella del Live8 del 2005, dove i 4 membri dei Pink Floyd finalmente riuniti tornarono a suonare insieme su un palco dopo quasi 25 anni. Ricordo quel pomeriggio, alle 15.00 era già davanti alla tv per non correre il rischio di perderli (in realtà poi hanno suonato verso le undici di sera).

E’ stato il concerto perfetto, per la performance in sé ma soprattutto per quello che ha significato. Per una causa più grande hanno saputo mettere da parte ogni acredine, accusa o insulto e fare quello che tutti, fan della prima ora e giovani generazioni, avevano sognato per due decenni. I Pink Floyd riuniti. Chi era presente racconta di un silenzio emozionato da parte di tutti quelli che erano lì. Potevi sentire uno spillo cadere, tra un brano e l’altro, durante la loro esibizione.

Nick, quello un po’ più fuori allenamento, se ne stava sornione dietro la sua batteria “portando a casa i pezzi” senza prendere grossi rischi e senza sbagliare nulla (tranne l’attacco di Money, forse un attimo in ritardo). Rick era convinto e disinvolto alle tastiere, Roger molto emozionato (nella prima delle 4 canzoni eseguite gli vedi le mani che tremano) ma anche visibilmente felice e a suo agio come mai si era dimostrato in passato su un palco. Dava veramente l’impressione di aver fatto i conti con i fantasmi di un tempo. Il muro c’era sul palco, ma era proiettato alle spalle dei musicisti. Molto simbolico, se si ripensa ai concerti del passato. David era concentrato e professionale, apparentemente freddo come sua abitudine. E in Comfortably Numb ha eseguito il migliore assolo di sempre, con quella postura e quella sua caratteristica smorfia dipinta sul volto che ogni volta mi emoziona. La gente li canta i suoi assolo di chitarra, immagina di suonarli con le dita pur non avendo in mano una chitarra. Non c’è molto altro da aggiungere per descrivere la grandezza di questo musicista.

La Comfortably Numb più significativa invece, a mio parere, è quella del 2011 alla 02 Arena di Londra. Stavolta (sarà anche l’unica) Gilmour è ospite di Waters (!) in uno dei concerti di uno dei vari tour con cui Roger, 20 anni dopo, attualizza i temi e l’impianto scenico dei concerti di The Wall, arrivando a una rappresentazione grandiosa e incredibile con tanto, anche qui, di crollo del muro che era stato costruito sul palco nel corso dello show e usato come schermo su cui proiettare con le più moderne tecnologie audio-video gli incubi multimediali del protagonista. L’esecuzione del Live8 è molto più intensa e commovente per mille ovvie ragioni.

Alla 02 Arena tra l’altro l’assolo di Zio David non è esente da qualche incertezza, sia nel suono che nell’esecuzione; si sente che non è la sua band, il suo show. O semplicemente era emozionato, tornando a suonare il suo storico assolo sulla cima del muro, come accadeva nei concerti del 1980. Ma guardate la scena, minuto 6.26: Roger batte i pugni, in alto c’è David, il muro va in frantumi. Pensai “ce l’hanno fatta, il loro muro è davvero caduto”.

Val la pena concludere precisando che non è un lieto fine scontato. O comunque non è il lieto fine che tutti i fan a questo punto sognavano, ma è il migliore possibile a mio modo di vedere. Negli ultimi dieci anni si sono rincorse continuamente voci e speranze circa una reunion dei Pink Floyd superstiti, di un nuovo sodalizio o comunque di una nuova collaborazione in particolare di Roger e David.

Penso che non avrebbe avuto molto senso, tra l’altro zio Rick era morto nel 2008, senza di lui non sarebbero stati comunque i Pink Floyd. Poi Roger e Dave, idoli per tutti noi ma in realtà esseri umani come noi (non dimentichiamolo), hanno effettivamente percorso strade diverse, maturato sensibilità artistiche e musicali moto lontane. Nella migliore delle ipotesi, sarebbero stati due nomi noti che decidevano di provare a fare di nuovo qualcosa insieme e non una band che, pur con tutte le vicissitudini legate alle dinamiche e ai delicati equilibri interni, produce nuovo materiale.

La verità è che i Pink Floyd la loro pagina gloriosa nella storia della musica l’avevano già scritta da molti anni. Non avevano nulla da dimostrare, alla 02 Arena Waters e Gilmour avevano solo fatto crollare il muro che insieme avevano creato più di 30 anni prima e che da allora li divideva. Non serviva un altro disco, un altro concerto. Era giusto che la loro comune vicenda umana e artistica si chiudesse con questa bellissima immagine. Che a ben vedere è un messaggio di speranza universale, di riconciliazione e maturità oltre i conflitti del passato.

Dopotutto, il finale perfetto noi fan l’avevamo avuto già 6 anni prima: quell’abbraccio dei 4 Pink Floyd finalmente riuniti al Live8, dopo tanti anni di muri e litigi. E dopo aver suonato la più commovente versione di Comfortably Numb che si sia mai vista e ascoltata.

3 pensieri riguardo “Ognuno di noi ha i suoi muri. Il punto vero è provare ad abbatterli.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: