Vino e mito. La vigna e la cantina dove è nato il Brunello.

C’è stata una fase della mia vita, non tantissimi anni fa, in cui mi ero dedicato con molta costanza alla scoperta delle meraviglie del vino, e di tutto il bellissimo mondo che gli ruota intorno. Non fraintendete però. Detta così potreste pensare a un bere scriteriato, invece degustare e bere sono due cose molto diverse: parola di sommelier! Non sto negando ovviamente che ci siano stati frequenti baccanali, Vinitaly, Bibenda Day, e degustazioni varie. E magari ne racconterò anche qualcuno nei prossimi articoli del blog. Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre la faccenda a una specie di enorme sbronza durata anni. Quello è solo un aspetto. Ce ne sono molti altri: sto parlando di curiosità, scoperta, studio, teoria e pratica, metodo, sensibilità, tradizioni, cultura, comunicazione. E scusate se è poco.

Anche in questo caso però, non voglio scrivere cose che qualcun altro ha già detto prima e meglio di me. Voglio piuttosto raccontare della magia che respiri in alcuni posti del vino, delle suggestioni, dei profumi che assapori ancor prima di avvicinare il bicchiere al naso; e delle emozioni che provi pur non avendolo ancora sorseggiato, il vino. Quindi quando sei ancora sobrio, per farla breve.

Potrei ordinare i miei personali ricordi ed esperienze di questo filone secondo due criteri. Il primo temporale, ovvero iniziare a raccontarvi la prima tra tutte le cantine che ho visitato, e poi via tutte le altre (almeno quelle degne di nota) in ordine cronologico. Il secondo è molto meno oggettivo, vale a dire potrei iniziare dalla mia preferita, quella dove ho comprato o degustato il vino migliore, e dove ho provato le emozioni più belle. In entrambi i casi il mio racconto inizierebbe con la Tenuta del Greppo e con il Brunello di Montalcino Biondi Santi. E con colui che, nonostante da qualche anno ormai non sia più tra noi, io continuo a chiamare affettuosamente “il Dottore”.

Non ricordavo di preciso a quando risaliva la mia prima visita al Greppo, ma poi ho appurato essere stato il 2010. Le date non sono mai state il mio forte e, nonostante le abbia cercate, non ho trovato molte foto di quella visita. Mi restano solo un paio di bottiglie di Brunello, “Annata 2005” e “Annata 2004”. La 2005 è vuota, ma la conservo ancora. La 2004 è intatta e gelosamente custodita nella mia cantinetta privata. E’ la bottiglia più vecchia che posseggo, quella a cui sono più affezionato. E’ con me da circa 10 anni, sapere che se ne sta lì in attesa del momento in cui vorrò aprirla mi fa stare bene; non so spiegarlo meglio. Comunque questa bottiglia non ha un valore economico esageratamente alto, intendiamoci.

Biondi Santi produce infatti due Brunello. Il Brunello “Annata” è prodotto dalle uve delle piante della tenuta con almeno 10 anni di età, il prezzo in enoteca si aggira intorno ai 150 euro. E poi il Brunello “Riserva”, ottenuto invece dai frutti delle viti più vecchie (almeno 25 anni); questo fa un minimo di 6 anni di botte grande e due di bottiglia, prima di uscire in commercio, e lo prendi a un prezzo che è più del triplo di quello “Annata”. Quindi, nonostante sia una bottiglia già con qualche annetto, il mio Brunello di Montalcino Biondi Santi non è un pezzo da collezionista. Più che altro gli sono molto affezionato per quello che rappresenta e che mi ricorda. Quella è stata la prima volta che ho investito tempo, energie e soldi per andare a visitare una tenuta e scoprire dal vivo e in prima persona questo mondo affascinante. Me ne tornai con tre bottiglie, oltre alle due sopra citate anche un Rosso di Montalcino (uve da viti con meno di 10 anni di età). Vuota pure quella.

Comunque, dicevo, ricordo di essere andato. Poco prima di arrivare a Montalcino, giri a sinistra e fai pochi chilometri in direzione di Castelnuovo dell’Abate. Incontri un cartello molto discreto con il celebre stemma e svolti a sinistra, in un lungo e dritto viale sterrato con ai lati degli alti cipressi. Arrivato in uno spiazzo alla fine del viale, trovi questo casale con due piccoli portoncini. Io mi aspettavo una cosa molto più “pettinata”, l’enoturismo è un filone che ha riscosso parecchio successo negli ultimi decenni e le tenute si sono inevitabilmente attrezzate di conseguenza. Invece al Greppo capisci subito che stiamo parlando di un’altra cosa. E’ tutto molto sobrio, austero, un po’ come il vino che fanno.

Avevo prenotato la visita, ci accolse una ragazza giovane. Dopo le presentazioni, la nostra guida ci fece attraversare il giardino erboso di questa bella casa di campagna e da lì scendemmo verso le vigne. Il Greppo è una splendida tenuta a girapoggio. Ad esclusione del lato ovest, scartato perché la composizione del terreno non fu ritenuta ideale per ottenere uve il cui vino potesse avere grande potenziale di invecchiamento (prerogativa dei vini Biondi Santi), gli altri tre versanti ospitano da sempre le piante di Brunello, alcune molto vecchie. Non è cambiato molto, nei decenni, qui.

Poi siamo stati scortati in cantina. Le foto che vedete qui di seguito sono le uniche che mi rimangono di quel giorno, una è la scritta sopra l’ingresso. La cantina del Greppo in fondo è più piccola di come te l’aspetti, considerando il mito che incarna. Appena entri, c’è una sala rettangolare molto lunga attrezzata con un unico tavolo tra due file di botti, dove ricordo facemmo la degustazione. Da una piccola porta si accedeva ai locali più ampi, dove c’era il vino a invecchiare.

E’ il Sancta Sanctorum del Greppo, il cuore del mito. Ma perché parlo di mito? Perché Biondi Santi è semplicemente la famiglia che, generazione dopo generazione, già dalla seconda metà dell’ormai lontano 1800 ha praticamente inventato il Brunello, selezionando qui al Greppo i cloni di Sangiovese Grosso in grado di garantire straordinaria longevità al vino, perfezionando in modo artigianale ma rigoroso le tecniche di vigna e cantina, di fatto codificando lo stile e il metodo di produzione di un vino che è poi diventato mito in tutto il mondo. Insomma, non devo spiegare io cos’è il Brunello, o quali sono state le tappe che ne hanno scandito l’ascesa. E neanche quanto è buono…

All’inizio la mia attenzione deve essere stata catturata da quell’etichetta nera con le scritte gialle un po’ vintage (passatemi il termine), o comunque così diversa dalle altre; poi devo aver cercato informazioni da qualche parte, e immagino che a quel punto sia scattato qualcosa: dovevo vedere di persona, visitare i luoghi. Al Greppo sono ancora in uso le botti con cui Ferruccio Biondi Santi produsse il primo Brunello (vendemmia del 1888), l’archetipo per tutti gli altri che sono venuti dopo. L’originale, l’unicum. Ero in un luogo che incuteva fascino, eccitazione, rispetto. Oserei dire sacralità. Quelle botti avevano fatto la storia, ed io ero lì che le contemplavo.

Ancora oggi, come dicevo, il vino ottenuto dai grappoli delle viti più vecchie della tenuta matura nelle grandi botti di rovere di Slavonia che hanno dato i natali al primo Brunello. Il che gli conferisce unicità e pregio. Questi tini, a differenza delle discusse barrique, non cedono sfumature odorose vanigliate al bouquet del vino. La botte piccola è una moda francese; Biondi Santi invece fa il vino restando fedele alla tradizione, perché è lui la tradizione. Se la materia prima è di qualità assoluta, il vino che ottieni non ha bisogno di trucchi. Non fa una piega, aggiungo io.

E al Greppo cresce un’uva così: c’entrano la composizione del terreno, il microclima specifico, le piante ottenute da decenni di selezione dei migliori cloni di Sangiovese Grosso, le basse rese per ettaro e tutte le altre rigorose pratiche di vigna e cantina ereditate da secoli e migliorate di generazione in generazione. E se l’annata non è stata climaticamente soddisfacente, e quindi non si sono raccolte uve eccellenti, il vino verrà “declassato” a semplice Rosso: quell’anno niente Brunello Biondi Santi. Per quanto vi riguarda, possono esserci dei Brunello persino più buoni, in fin dei conti stiamo parlando di gusti. Ma nessun Brunello è il Brunello Biondi Santi, perché quel Brunello arriva dalle botti dove il Brunello è nato. Per intenderci, c’è il Brunello Biondi Santi. E poi ci sono tutti gli altri Brunello, più o meno buoni, profumati, pregiati, costosi e via discorrendo.

L’emozione sale al massimo quando visiti le celle più remote della bottiglieria, dove si conservano le bottiglie prodotte nelle varie annate della pluricentenaria storia della tenuta. Il dottor Biondi Santi conserva nelle sue cantine in perfetto stato ancora bottiglie del 1888 e del 1891, le mitiche prime due annate del Brunello, e ovviamente delle successive. Le guardi e pensi che quelle bottiglie sono lì da oltre cento anni; praticamente stai osservando un reperto storico.

Ma a differenza di un reperto o di una opera d’arte, il vino è qualcosa di vivo, che sfida il tempo non smettendo mai di evolvere, mentre è in bottiglia. E la cosa più incredibile è che la qualità e longevità di questo vino è tale che è ancora bevibile. I vini Biondi Santi sono celebri per questo: il produttore dichiara un potenziale di invecchiamento di almeno 70 anni per le sue Riserve. Se fossimo tra i pochi fortunati a poter degustare una di quelle bottiglie ultracentenarie, avremmo la fortuna di sentire ancora sentori e aromi tutti da decifrare. Ogni tanto al Greppo sono state organizzate verticali di Brunello in cui si sono aperte bottiglie molto vecchie, e il racconto dei pochi fortunati che vi sono stati invitati testimonia di un vino che mostra i segni del tempo (non potrebbe, anzi non dovrebbe essere altrimenti), ma ancora bevibile e molto stimolante dal punto di vista dell’analisi organolettica.

Capite bene che le “Riserva” del Brunello Biondi Santi sì, sono un capitale che si rivaluta al passare dei decenni. Ma solo se opportunamente conservate. Annualmente la cantina pubblica un bando sottoscrivendo il quale si può chiedere la ricolmatura della propria bottiglia di Brunello Biondi Santi “Riserva” con vino della stessa annata conservato nelle cantine del Greppo, con l’obiettivo di preservarne il valore organolettico ed economico. Visti i risvolti economici della faccenda, il tutto avviene alla presenza di un notaio. Il problema è che tu gli porti la bottiglia e loro, con ogni cura, la stappano. Ma se per caso il tappo è andato a male o, a loro insindacabile giudizio, il vino ha assunto un cattivo odore/sapore, te la ridanno senza ricolmarla, ritappata con un tappo anonimo e senza capsula Biondi Santi. Addio capitale. Voi che fareste?! In altre parole, non basta aver ereditato una bottiglia della mitica Riserva Biondi Santi del ’55 dal nonno; deve anche essere stata conservata in condizioni impeccabili: la reputazione non ammette compromessi.

E il Dottore? Avemmo il privilegio di conoscere Franco Biondi Santi al termine della visita, dopo aver comprato le bottiglie di cui parlavo all’inizio. Con molta discrezione, e senza sperarci troppo, chiedemmo alla ragazza che ci accompagnò se c’era la possibilità di salutarlo. La risposta mi spiazzò: “Proviamo. Il Dottore sarà qui in salotto, aspettate che vado a vedere.” Uscì da una porticina. Praticamente eravamo in una specie di anticamera adiacente all’abitazione vera e propria, adibita alla vendita e all’accoglienza. Ma ricordo che era molto piccola, e ne rimasi sorpreso. Pensavo a un castello, invece era semplicemente casa sua. Tutto sapeva di vero. Dopo qualche minuto riemerse dalla porticina la ragazza e dietro di lei c’era questo signore anziano, non elegante (ovviamente, stava nel salotto di casa sua a farsi gli affari suoi…) ma molto curato nel vestire. Incredibilmente gentile nei modi e dolce nelle espressioni del volto. Ci disse benvenuti, e ci fece qualche domanda tipo da dove eravamo venuti o cose così. Ci regalò anche una bottiglia del suo Rosatello, e infine ci ringraziò per avergli fatto visita.

Confesso che questa cosa la trovai disarmante. Noi eravamo un po’ intimiditi al cospetto di un mito vivente, che però aveva il viso di questo uomo mite e gentile che invece di risultare infastidito per l’intrusione ringraziò noi, che avevamo neanche 30 anni e comprato 3 bottiglie (non chissà cosa), di avergli fatto visita. Quanta grandezza nella semplicità, nell’affabilità, nel garbo. Il Dottor Biondi Santi lasciò in me un ricordo indelebile di quei pochi attimi in cui ho avuto il privilegio di salutarlo e conoscerlo. Non dimenticherò quell’incontro.

E qui direi che il racconto di quella mia prima mitica visita in cantina può considerarsi terminato. Negli anni successivi tornai a più riprese al Greppo. La prima volta con un amico con cui intrapresi il corso di sommelier. Ma era domenica, e la domenica il Greppo non riceve visitatori. O meglio, il Greppo non riceve visitatori della domenica. Non so se è ancora così, ma quando andammo noi sì. Se vuoi andare dal Dottore ti prendi il permesso dal lavoro e ci vai in mezzo alla settimana. Io immagino fosse una scelta precisa, ma non parlerei di strategia di marketing perché al Greppo ho respirato autenticità e spontaneità in ogni cosa, mentre il marketing in fondo è premeditazione (lo dice un markettaro…). E questa cosa, a ben vedere, alimenta ulteriormente il mito di questa cantina. Siamo comunque andati e arrivati fino al parcheggio fuori casa del Dottore, ammirando le vigne e tornandocene via. Il vino lo comprammo in 3 o 4 cantine che erano aperte nei dintorni di Montalcino, di quelle che vendono il Brunello anche ai visitatori della domenica.

Un’altra volta andai a Montalcino in Harley Davidson per una rimpatriata con dei colleghi. Biondi Santi non c’entrava niente, ma al bivio prima di arrivare invece di puntare al parcheggio a ridosso della rocca che domina il paesello, dove mi stavano già aspettando, svoltai a sinistra e tornai una volta ancora in pellegrinaggio al Greppo. Anche stavolta non feci visite né comprai bottiglie, anche perché non avrei potuto portarle con me sull’Harley (e di sicuro se le sarebbero scolate a pranzo i miei colleghi). Semplicemente volevo tornare in un luogo che mi aveva suggestionato e che consideravo mitico. E volevo fotografare la mia Harley Davidson sotto il cartello che segnala l’inizio del rettilineo sterrato che porta alla casa del Dottore. Gli amici mi avrebbero aspettato.

PS: Franco Biondi Santi moriva nel 2013, tre anni dopo averlo incontrato. Da allora, legato come sono ai bellissimi ricordi di quella visita, ho evitato accuratamente di imbattermi in informazioni più recenti su che fine avessero fatto la Tenuta del Greppo o l’azienda Biondi Santi; e nonostante poi lo abbia saputo, mi sono guardato bene dal farne menzione qui nel mio articolo: semplicemente è un’altra storia. Quella che volevo raccontare io finisce col Dottore.

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