Scacciadiavoli, l’Umbria e l’eredità del Principe

Come ho raccontato nel precedente articolo, di recente ho avuto modo di fare una capatina a Perugia con il mio amico Mauro per assistere al concerto di Stuart Copeland nell’ambito della manifestazione Umbria Jazz 2023. Trovandoci in zona, mi sembrava opportuno pianificare per il giorno successivo un paio di visite dalle parti di Montefalco, un areale particolarmente vocato alla produzione vitivinicola dove pure ero già stato in passato.

Montefalco (e comuni limitrofi) è il regno del Sagrantino, una varietà autoctona umbra con caratteristiche molto particolari sia dal punto di vista produttivo che organolettico, che si riflettono nella storia di quest’uva e nei vini che se ne ottengono. Concettualmente sono innamorato del Sagrantino, ne ho parlato molto approfonditamente in questo articolo risalente ormai a qualche tempo fa.

Si tratta di un vitigno non particolarmente vigoroso, né eccessivamente produttivo. Oltretutto se ne ottiene un vino marcatamente tannico, organoletticamente sbilanciato sulle durezze. Ma molto riconoscibile e con una precisa personalità. I grandi vini da uva Sagrantino possono avere un potenziale di invecchiamento superiore ai 15 anni, la lunga permanenza prima in botte e poi in bottiglia è anzi fortemente consigliata perché favorisce la polimerizzazione dei tannini: il risultato è una astringenza meno aggressiva e allappante.

Ma torniamo a bomba. Come dicevo, sono tornato da quelle parti e una prima veloce visitina l’ho fatta al Carapace della Tenuta Castelbuono, a Bevagna, di cui avevo sentito parlare in precedenti occasioni. Volevo più che altro dare un’occhiatina. Niente da dire: bella, scenografica, particolare, tutto molto studiato e attentamente pettinato.

Ma non è di questo che voglio parlare, bensì di un’altra cantina che ha la storia e le radici saldamente piantate a Montefalco. Una tenuta dove non abbiamo trovato ambizioni (velleità?) artistiche, bensì autenticità, ospitalità e ottimo vino. Sto parlando della Tenuta Scacciadiavoli.

Il nome, peculiare ed evocativo, è in realtà un toponimo: la tenuta lo deve alla zona in cui sorge, e sembrerebbe legato alla leggenda di un esorcismo fatto in loco risalente addirittura al XIV° secolo. Direi che è molto distintivo e suscita naturale curiosità, dunque la famiglia Pambuffetti, attuale proprietaria della tenuta, ha fatto bene a tenerlo come brand.

Lasciando la provinciale e superando il cancello d’entrata si ricava subito un’impressione di sobria (!) autenticità. Il vialetto di ghiaia, la vecchia chiesetta, i passoni accatastati davanti al capanno, la corte interna: i luoghi dell’accoglienza sono anche i luoghi di lavoro, ma tutto è in ordine.

I vigneti si trovano su una collina proprio dietro gli edifici ad una altitudine media di 400 metri slm, su terreni argillosi e mediamente profondi, molto indicati per l’allevamento di varietà tardive come il Sagrantino. Le vigne arrivano a toccare i comuni di Montefalco, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria.

Come ci viene spiegato all’inizio della visita, la cantina è praticamente appoggiata a un fianco della collina, per il resto interamente ricoperta dai vigneti, garantendo così in modo naturale temperature e umidità costanti. Ed ha una lunga storia che merita di essere raccontata.

E’ stata infatti voluta dal Principe Ugo Boncompagni Ludovisi nel lontano 1884, un nobile illuminato che giovanissimo (all’età di 18 anni) volle costruire un complesso enologico all’avanguardia e ispirato ai modelli francesi per sfruttare le potenzialità della zona. In cantina, giustamente, si conserva la memoria di questo illustre passato anche attraverso il reimpiego di materiali dell’epoca, come testimoniato ad esempio dalle iniziali visibili in questa foto.

Entrando passiamo innanzitutto dalla sala vinificazione, con grandi tini in legno e silos di acciaio per la fermentazione. In virtù della conformazione della cantina, le operazioni di lavorazione delle uve avvengono per gravità. La pavimentazione è recente, per garantire adeguati livelli di pulizia e igiene del locale, mentre le capriate del tetto sono quelle originali.

Poi veniamo scortati nella sala con anfore di terracotta dell’altezza all’incirca di un uomo, per intenderci, che vengono usate per il trebbiano spoletino: si tratta di una varietà bianca autoctona, le uve provengono da un piccolo appezzamento della tenuta e se ne riescono a produrre appena 4 mila bottiglie l’anno. La scelta delle anfore per la vinificazione è legata al materiale, che non cede aromi secondari e dunque non influenza in alcun modo le caratteristiche specifiche di questa uva che si vogliono invece recuperare ed esaltare.

Quando si scende nella barriccaia interrata, dove sono ancora conservate e visibili alcune strutture di inizi novecento come la vecchia caldaia, la prima cosa su cui si posa lo sguardo è l’imponente botte storica murata, ancora oggi usata per l’assemblaggio del Montefalco Rosso (vini da uve sangiovese 60%, sagrantino 15% e saldi di merlot), oltre alle lunghe file di barrique e tonneau di vari passaggi usate in particolare per l’affinamento del Sagrantino DOCG e del Sagrantino Passito.

La curiosità, come ci viene raccontato dalla nostra guida, è che storicamente il vino ottenuto da uve sagrantino era sempre stato proprio un vino dolce: pare infatti che i lieviti indigeni non riuscissero con la fermentazione ad esaurire tutti gli zuccheri presenti nel mosto. Solo verso la fine del secolo scorso, le tecniche di cantina e di vinificazione hanno consentito di farne anche un vino secco. E la passione per la qualità di alcuni produttori di zona, tra cui evidentemente Scacciadiavoli, con il passare dei decenni ne ha sancito la perentoria affermazione nell’olimpo italiano dei vini rossi secchi potenti ma eleganti.

L’altra curiosità è legata al nome “Sagrantino”, che sarebbe riconducibile ai sacramenti (dal latino “Sacer” – Sacro) in quanto l’uva era coltivata dai frati francescani della zona che ne ricavavano un passito destinato ai riti religiosi. Secondo un’altra ipotesi, invece, il nome nasce dal fatto che era il vino che il contadino tirava fuori in occasione delle festività agricole, delle sagre e delle ricorrenze religiose.

Purtroppo non abbiamo elementi certi per dire quale delle due versioni sia leggenda e quale invece verità. Ma veniamo a tempi più recenti. Amilcare Pambuffetti a metà del secolo scorso ha rilevato la proprietà, in cui peraltro aveva lavorato come garzone quando aveva 14 anni, e oggi in azienda la famiglia è alla quarta generazione. La mano familiare si vede, ed è un bene. Noi abbiamo trovato una tenuta di tutto rispetto e uno storytelling che giustamente rievoca la lunga storia della tenuta, per rimarcarne l’unicità e rivendicarne l’eredità.

A tal proposito voglio davvero fare i complimenti e ringraziare Vittoria, Elena, Federico e Laura per la splendida accoglienza all’insegna della cortesia e della cordialità, per la piacevole visita delle cantine e – last but not least ovviamente – per la monumentale esperienza di degustazione: ben otto vini!

La tenuta ha una gamma di prodotti molto ampia, praticamente ogni tipo di vino, tra le altre cose io l’avevo scelta come target per la nostra visita anche per questo e dunque sono rimasto particolarmente soddisfatto: dagli spumanti (bianco e rosé) al sagrantino passito passando per i bianchi e, naturalmente, per i due rossi Montefalco e Sagrantino secco. Vini ottenuti valorizzando le varietà locali, in primis ovviamente il sagrantino, ma anche uve a bacca bianca tipiche dell’Umbria come il grechetto e il trebbiano spoletino.

Ecco qualche appunto preso nel corso della degustazione.

Spumante Brut metodo classico ottenuto da uve sagrantino 85% e chardonnay. Fa 36 mesi sui lieviti e infatti al naso è fragrante, con note di lievito e crosta di pane in particolare evidenza. Freschissimo e facile da bere, con una lunga scia acida che ne determina una media persistenza, è perfetto per un aperitivo.

Spumante Brut Rosé metodo classico da uve sagrantino 100%, una vera chicca, non è da tutti… fa 6 ore di macerazione sulle bucce e 24 mesi sui lieviti. Ne deriva un colore rosato tenue e delicato, note olfattive di scorza di limone e pompelmo rosa, anche qui troviamo una spiccata freschezza ma forse una minore persistenza del precedente.

Grechetto DOC, da uve grechetto in purezza, affina in acciaio e in bottiglia. E’ un vino di pronta beva, delicato, con note prevalenti di frutta bianca e frutta tropicale, indicato per un aperitivo o per inizio pasto.

Montefalco Bianco DOC, uve trebbiano spoletino (50%), grechetto (30%) e chardonnay (l’unica che fa un pò di legno). Il blend lo rende un vino un pò più complesso del precedente, certamente più adatto al pasto. Al naso evidenzia anche una leggera speziatura. Affina 9 mesi in botte e 9 in bottiglia, da bersi al massimo entro 4 anni dalla vendemmia.

Spoleto DOC, trebbiano spoletino in purezza. E’ un pò l’outsider della batteria, a cui la tenuta dedica molte cure e attenzioni tanto in vigna quanto in cantina. Basti dire che, stando a quanto riferitoci, un 50% viene elevato in legno non tostato e il resto una parte in terracotta, una in coccio pesto e un’altra in ceramica. Dopo 9 mesi viene infine assemblato e ne fa altrettanti di affinamento in bottiglia. Giallo luminoso con riflessi dorati, al naso floreale e fruttato, una bella speziatura e leggere folate di tartufo bianco. Buona struttura e buona persistenza, il corpo lo vedi anche dagli archetti disegnati sul calice.

Montefalco Rosso DOC, il blend è quello descritto nel corso dell’articolo. E’ indubbiamente una tipologia più facile da bere e dunque più godibile, rispetto allo spigoloso sagrantino in purezza. Il taglio con altre varietà ne stempera gli eccessi e compone un sorso pieno ma anche estremamente piacevole. Rosso rubino con lievi tonalità granate, prevalenti note fruttate, speziate e floreali. Buona persistenza.

Montefalco Sagrantino DOCG. Dopo il Principe Ugo Boncompagni, ecco a voi anche il Principe dei vini umbri, capace di dare lustro alla zona e all’intera regione, che nel panorama vitivinicolo nazionale brilla di luce propria grazie a un vitigno così unico e idiosincratico. Rubino cupo, al naso un bouquet intenso e ampio con marasca, ciliegia, frutta matura e mora selvatica in particolare evidenza, ma anche sottobosco e sbuffi mentolati. In bocca è un vino intenso e molto persistente, con i tannini ben fusi nel corpo del vino e un sorprendente equilibrio tra le varie componenti. Ovviamente è molto indicato al pasto in abbinamento con arrosti e carni importanti, ma è ottimo anche da meditazione.

Spendo due parole in più su questa bottiglia “flagship” della casa, per così dire. La peculiarità del sagrantino Scacciadiavoli rispetto ad altri che ricordo è che, probabilmente attraverso un uso sapiente del legno di rovere tanto nella fase di vinificazione (tini da 100 hl) che in quella di affinamento (botti da 30 hl, tonneau e barrique), la ruvidezza e l’astringenza tipiche della varietà sono stemperate. Ho degustato un 2017 e, dopo soli 6 anni, mentre lo bevevi avevi la sensazione che andasse già bene così. Altre volte in passato, dopo aver bevuto un sagrantino, ricordo di averne apprezzato quasi intimorito la potenza dei tannini e poi aver detto “Buono, ma da bere tra 5 o 6 anni”. Stavolta no: un prodotto fedele alla sua identità e aderente al suo identikit, eppure già pronto per farsi apprezzare… quali 5 o 6 anni, dopo un bicchiere ne vorresti subito un altro! Non so se mi spiego.

Montefalco Sagrantino Passito DOCG. Questo vino è fantastico, se si pensa alla particolare tecnica con cui si ottiene e al lavoro che essa richiede. Le uve vengono appassite su graticci di canne durante i mesi autunnali e fino a tutto dicembre, l’asciugatura tramite ventole determina una alta concentrazione degli zuccheri negli acini che poi vengono pigiati in modo soffice. Nel prodotto finito il tannino è ben bilanciato dalla parte zuccherina, l’equilibrio che ne deriva è a tutto vantaggio del sorso: avvolgente, vellutato e molto persistente. Al naso le dominanti sono quelle del fico secco e della frutta rossa matura, unite a note speziate e a una sottile scia minerale. Come giustamente detto da Federico, come tipologia ricorda molto il recioto; ma è molto più buono di molti recioto (e altri sagrantino passito) che mi è capitato di bere, aggiungo io.

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