Voglio iniziare questo articolo con una domanda precisa, che per primo ho posto a me stesso e a cui ho cercato risposte convincenti. Del resto il fatto che quello che scrivo lo scrivo essenzialmente per me, perché mi piace e mi aiuta a chiarirmi le idee e non perché qualcuno lo legga, l’ho premesso sin dall’inizio (dall’inizio del blog intendo); e la cosa è meno strana di quanto possa sembrare. Dicevo la domanda: perché ho preso i biglietti per una delle date romane del nuovo tour di David Gilmour, mentre non sono andato a vedere Roger Waters nel suo tour del 2022 (né Nick Mason con gli A Saucerful of Secrets che pure avevano una data a Roma nell’estate appena conclusa)?
Chi sa di Pink Floyd sa di chi e di cosa sto parlando. Diciamo intanto che il concerto precedente al Circo Massimo, risalente al luglio 2016 nel Rattle That Lock world tour, mi aveva lasciato l’amaro in bocca per una ragione particolare: nonostante i soldi spesi, i posti assegnati dal portale di Ticketone tramite “scelta miglior posto” recitavano Fila 7 posto 3. Davanti, ma cazzo di lato. Tanto tanto laterali. Volevo rifarmi e, considerata la veneranda età di zio David (e il fatto che pubblica un nuovo album mediamente ogni 9 anni), non sapevo se avrei avuto altre occasioni per ascoltare dal vivo un artista la cui musica significa così tanto per me.
E poi, a differenza degli altri due membri dei Pink Floyd, David Gilmour ha appena pubblicato un disco nuovo, uscito il 6 settembre (il giorno del compleanno di Roger Waters, ci vedo tanto lo zampino della moglie…) e anticipato da singoli, interviste e contenuti vari pubblicati sui social come ormai si fa oggi. Avere nuovo materiale da presentare, a mio avviso, resta la ragione migliore per andare in tour. O meglio, lato utente (passatemi il termine mutuato dal gergo digital) resta la migliore ragione per cui vale la pena pagare il prezzo del biglietto e andare al concerto di un artista.
Il pubblico vuole immancabilmente la vecchia roba a cui è affezionato (peraltro legittimamente, e intendiamoci lo sono anch’io), ma mi piace l’idea di andare a vedere e sentire uno che non indulge solo nell’autocelebrazione, limitandosi a riproporre o rivisitare il repertorio. Poi la nuova roba può piacere o meno, ma questo è un altro discorso.
A me Luck and Strange è piaciuto, pur non trattandosi di un capolavoro. Lo trovo un disco pregevole, pieno di spleen e di magia, sincero e riflessivo, coerente. Chiaramente ci sono alcune considerazioni da fare, del resto l’approccio da ultrà (“il miglior disco di sempre” vs “una merda incredibilmente noiosa e melensa”) da tempo non mi appartiene più, nel valutare la musica e le cose della vita più in generale (sarà l’età che avanza 😪).
Mi ha divertito e allo stesso tempo incuriosito, ad esempio, la storia del produttore giovane e irriverente raccontata da zio David Gilmour nel making of e ribadita in varie interviste. Di Charlie Andrew in effetti non avevo mai sentito parlare… “noto per il suo lavoro con Alt J” (chi?!)… bla bla bla. Ora è vero che un paio di assoli di chitarra nel nuovo lavoro non chiudono il brano o non sfumano, come invece lo zio ci aveva sempre abituato. Ma a parte questo, che tutto sommato è un dettaglio, l’album è “molto Gilmour”: c’è il suo tocco, il suo suono, quell’intensità espressiva ed emotiva del fraseggio negli assolo che lo rendono unico e immediatamente riconoscibile.
Insomma, i nuovi brani non spiazzano affatto: questa enfasi posta sul giovane produttore che non sapeva chi fosse o cosa facesse uno dei più grandi chitarristi della storia è uno storytelling a cui già di per sé era difficile credere, e poi in sede di ascolto si è rivelata inconsistente. Non so perché allo zio piace ripeterlo, forse voleva furbescamente alimentare le nostre aspettative per un cambio di direzione musicale, che però almeno a mio parere non c’è affatto stato.
Lo dimostra pure il fatto che, più degli ultimi due solisti, questo disco è un pò “un affare di famiglia” (cito mia sorella 😄). Gilmour fa quello che sa fare, che gli va di fare e a cui ci ha da sempre abituato: essenzialmente canto e assoli stratosferici. I testi li fa scrivere alla moglie (“E’ molto brava ad entrare nei miei pensieri”… un watersiano potrebbe facilmente ironizzare), del resto le parole non sono mai state affar suo e anche questo ormai lo sapevamo.
Nella tracklist di nove brani ci sono un paio di bozzetti strumentali, talmente brevi da sembrare appunto incompiuti e lasciare perplessi. C’è la cover, con una bella interpretazione vocale della figlia Romany, di un pezzo praticamente sconosciuto ma che a lui e Polly è sempre piaciuto. Romany suona l’arpa e fa anche i cori, e come se ciò non bastasse altri geniti della coppia qua e là partecipano ai cori, alla stesura dei testi e agli inserti audio.
Riguardo i musicisti, sono quasi tutti alla prima collaborazione con lo zio e portati in studio dal nuovo produttore, con due eccezioni. Il fido e inossidabile Guy Pratt al basso, collaboratore in pianta stabile dapprima dei Pink Floyd a tre (dal lontano 1987), poi del solo Gilmour nelle sue precedenti prove soliste, e in anni recenti pure del solo Nick Mason (nei NM’s A Saucerful of Secrets), comunque sempre genero di Richard Wright (quindi dai lo possiamo considerare uno di famiglia anche lui).
E Steve Gadd alla batteria. Gilmour ci teneva molto a suonare con lui, in alcune interviste ha detto che aveva anche un pò di timore reverenziale ma alla fine l’ha contattato. Lasciatemi dire che Gadd in queste registrazioni non fa nulla che giustifichi o lasci intuire l’enorme fama di cui giustamente gode tra gli addetti ai lavori e ancor più tra gli appassionati della batteria. Ma anche questa a ben vedere è una virtù perché anche se sei famoso, quando fai il session man devi mettere il tuo strumento al servizio di chi ti chiama, non sei lì per rubargli la scena.
E poi, in qualche modo, c’è anche Richard Wright. Il brano eponimo Luck and Strange è la rielaborazione di una jam session che si svolse nel 2007 nel fienile della fattoria di Gilmour e a cui partecipò anche il compianto tastierista dei Pink Floyd: sarà la sua ultima registrazione. Le linee del suo piano elettrico sono in buona evidenza già dai primi secondi, è presente inoltre nel video ufficiale della canzone (che usa alcune riprese fatte in quella occasione) e l’intera traccia originale compare come bonus track nel formato cd. Onestamente, è molto bello che zio David continui a omaggiare la memoria di zio Rick e a sottolineare la loro speciale intesa musicale.
Ad un ascoltatore particolarmente appassionato del repertorio floydiano, alcuni soli ricordano chiaramente cose passate. Dopo un paio di ascolti, necessari per mettere a fuoco l’origine di quel senso di familiare che però senti già al primo giro, in quello di Between two points – soprattutto sul finale – ci senti Marooned (ma con una chitarra leggermente meno effettata), mentre in A single spark riconosci nitidamente le atmosfere ampie ed eteree di Poles Apart. L’unica canzone in cui non c’è un solo di chitarra “à la Gilmour” è Sing.
Poi arrivi a Scattered, che è nettamente al di sopra di tutte e tra l’altro è la meno radiofonica. Il brano è strano, quasi una piccola suite. Inizia con un battito cardiaco (“E’ solo un suono…” si schernisce lo zio a chi glielo fa notare) e con una nota di piano filtrata dal Leslie (echi di Echoes…). Il testo, che ha ispirato anche la copertina del disco, parla del tempo che passa e dell’impossibilità di contrastarlo. Gli ottavi delle sezioni sono scanditi dal charleston, poi le cose precipitano con linee di piano decisamente drammatiche e spiazzanti. Torna la calma ma lo senti chiaramente che non è finita così, che c’è qualcosa di irrisolto. E infatti poi arriva, l’assolo ultraterreno che stai aspettando sin dalla prima canzone, accompagnato da un ride molto floydiano e articolato in tre parti ben distinte: la prima con delicate note di acustica, le altre due con la chitarra elettrica in crescendo.
Anche grazie al contributo dell’arrangiamento orchestrale il tutto vola a un altro livello, l’ascolto commuove e ti strappa l’anima. Per intensità espressiva siamo allo stesso livello dei migliori assoli che, in 50 anni di carriera, ci ha saputo regalare zio David. Da solo vale l’intero disco. Rimarrà un gioiello nascosto, l’agognata ricompensa a chi avrà voglia di arrivare in fondo all’album: è la traccia che chiude Luck and Strange, e ne è indiscutibilmente l’apice musicale, tematico ed emotivo.
I stand in a river
Push against the stream
Time is a tide that disobeys
And it disobeys me
It never ends
Parlando del disco, Polly Samson ha dichiarato che “è scritto dal punto di vista di un uomo che invecchia, con il costante pensiero della mortalità”. E ci sta, considerando la biografia. Lo zio Dave ha anche azzardato “è il mio miglior lavoro dai tempi di The Dark Side Of The Moon“, che invece è troppo esagerata persino per essere una dichiarazione di rito. Voglio dire, sappiamo tutti che funziona così: ogni artista al momento della pubblicazione di un nuovo lavoro dice che è il migliore della sua carriera. Però magari nel suo caso poteva dire “dai tempi di A Momentary Lapse Of Reason” o al limite “dai tempi di The Final Cut”, e forse sarebbe stato ancora credibile. Ma così è troppo grossa.
Qualcuno inevitabilmente potrà dirsi deluso da Luck and Strange. Però trovo tutto quanto estremamente sincero, e dunque apprezzabile. L’intera operazione intendo. Non solo musicalmente, ma anche i temi e le scelte artistiche. Non aspettatevi i Pink Floyd, lo zio David lo dice da anni ormai in tutte le sedi e i modi possibili. Lui è coerente con sé stesso, la sua musica piena di spleen lo rispecchia molto ed esprime quello che sente questo signore ormai alle soglie degli 80 anni: che deve fare più di questo? L’errore semmai è nelle attese di quella parte di pubblico che ancora va facendo paragoni con un passato che, in quanto tale, non può tornare.
Roger Waters, tanto per dirne uno, è proprio un altro carattere e ha fatto un altro tipo di percorso. Il suo ultimo lavoro solista inedito è del 2017, ma il tour che ne è seguito (dal titolo Us+Them) era più che altro quasi interamente incentrato su vecchi brani e sull’iconografia di Animals (disco dei Pink Floyd del 1977). Io di quel bellissimo concerto vidi sia l’allestimento indoor a Milano che quello outdoor, qualche mese dopo in estate, proprio qui a Roma al Circo Massimo.
Con This Is Not a Drill in anni post covid ha poi portato in tour uno show di repertorio con gli stessi messaggi apocalittici di sempre sullo stato del mondo, solo con una produzione ancora più spettacolare. Di inedito c’era solo l’allestimento (palco al centro), una versione di Comfortably Numb senza chitarre e una nuova ballad: un pò poco. Il tutto iniziava con l’invito rivolto a quanti nel pubblico non condividessero le sue invettive politiche ad “andare affanculo al bar”, e per l’occasione rilasciò dichiarazioni a mio avviso poco condivisibili sugli altri ex membri dei Pink Floyd e poco rispettose della storia della band. Precisamente in questa occasione, per la prima volta, ho deciso che non sarei andato a vederlo.
Successivamente ha fatto uscire un album di cover dei Pink Floyd (e solo un suo pezzo solista) riarrangiate e suonate “a distanza” insieme alla sua tour band durante quelle che ha chiamato le lockdown sessions (versioni peraltro molto intime, intense e belle), e a ottobre dello scorso anno un “nuovo” The Dark Side of the Moon con motivazioni ed esiti piuttosto controversi (ho già detto la mia in proposito).
Stando infine a quanto da lui stesso dichiarato, da due anni a questa parte (oltre a lanciare invettive varie contro l’Occidente e Israele o ingaggiare faide via social con questo o quello) lo zio Roger starebbe lavorando a un libro di memorie (anche questo dunque un progetto rivolto al passato) ma anche, udite udite, a un disco di inediti. Aspettiamo con impazienza finalmente qualcosa di nuovo. Ci tengo a precisare che, nella annosa querelle tra gilmouriani e watersiani, io non riesco davvero a prendere posizione: li adoro entrambi, ma per ragioni diverse e in modo diverso. Adoro zio Roger, e devo dire che il nuovo concept a cui sta lavorando è promettente. Ma la canzone che lo anticiperebbe, The Bar eseguita dal vivo proprio nel suo ultimo tour, mi sembra un pò noiosetta…
Ma come dicevo all’inizio anche Nick Mason, l’altro membro dei Pink Floyd ancora in vita, negli ultimi tre o quattro anni è sempre in tour; la scorsa estate è tornato in Italia con il suo progetto solista sempre suonando i pezzi meno conosciuti del repertorio, quelli risalenti agli inizi della storia floydiana, perché non sei andato? Perché c’ero già andato nel 2019, come testimoniano gli spezzoni qui di seguito (ripescati per l’occasione nella memoria del mio smartphone), tutto qui. Il nuovo tour mi è sembrato un po’ una fotocopia del precedente, le premesse almeno erano identiche e riassumibili in questi termini: ascoltare da uno dei Pink Floyd (zio Nick appunto) i pezzi che gli altri (essenzialmente David e Roger) non avevano mai suonato nei loro tour solisti (e dunque noi non avevamo mai ascoltato live).
Tra l’altro – come si vede – zio Nick suona la batteria da ottantenne, con quell’espressione bonaria e senza mai prendere rischi, il che per carità è molto coerente con l’età… però ecco, ricordando i furori giovanili delle performance di One of These Days o di A Saucerful of Secrets nel leggendario Live at Pompeii dici vabbè… Insomma lo show della sua band l’avevo già visto dal vivo una volta e mi sono pure divertito molto, ma non ho sentito forte il bisogno di pagare il prezzo del biglietto per andarlo a rivedere.
Mentre riguardo il concerto di David Gilmour, beh… mancano ormai solo una decina di giorni all’inizio del tour. Che partirà proprio da Roma con sei serate di fila al Circo Massimo, per poi fare tappa con poche altre date solo a Londra, New York e Los Angeles. Direi che – come italiani, romani e floydiani – ci sentiamo lusingati e molto fortunati per questo. Solo posti a sedere, io ho preso i biglietti per la data del 29 settembre. David e la sua nuova tour band stanno preparando lo show, delle prove su Youtube abbiamo persino delle riprese ufficiali. Ma appunto ne riparliamo nel prossimo articolo, dopo averlo visto… 🤟😋


2 pensieri riguardo “David Gilmour, Luck and Strange: una chitarra così può fermare il tempo?”