La Route 66 in California, ecco il tratto più affascinante: da Ludlow a Needles.

La cosa più difficile da capire, per i profani che non sono ancora stati stregati dal suo fascino magnetico, è che sulla Route 66 c’è ben poco da vedere. Nella migliore delle ipotesi troverete un rudere o una vecchia insegna in rovina. Questa strada è un monumento all’assenza, alla decadenza, alla nostalgia. Il fascino é legato proprio a questo.

Tali suggestioni mi hanno accompagnato costantemente lungo la 66, ogni volta che ci sono stato. Quel mix di caldo secco, insegne anni ’50, deserto a perdita d’occhio e senso di abbandono è qualcosa che resta dentro. Nessuna attrazione wow o folle di turisti: lì il protagonista sei tu, e la strada sembra messa lì solo per te.

Questo stato d’animo ricordo di averlo nitidamente percepito soprattutto mentre percorrevo in California un particolare tratto della Mother Road, quello tra Ludlow e Needles: si tratta del segmento più remoto, ancora più di quello da Barstow a Ludlow. Questo pezzo di strada fu in uso fino agli anni ’70, solo allora fu completata la moderna Interstate 40 che attraversa ancor oggi i rilievi montuosi a est di Ludlow. La 66 invece li aggira piegando verso sud e percorrendo un territorio per lo più pianeggiante.

Rispetto ai tratti precedenti dunque, la Mother Road non corre parallela alla Interstate, ma se ne allontana appunto prima verso sud per poi risalire dopo il Cadiz Pass e intersecarla a Fenner, dove l’originale tracciato (che però già negli anni ’30 subì una variante) prosegue oltre verso nord fino a Goffs e infine a Needles.

Altra differenza è che mentre i segmenti precedenti, da Victorville a Barstow o da Barstow a Ludlow, sono costellati di cittadine piccole ma ancora popolate e comunque non lontane dall’infrastruttura odierna, in questo tratto non vive quasi più nessuno.

La Route 66, aperta ufficialmente nel 1926, in questo segmento praticamente doppiava la linea ferroviaria e fu realizzata pavimentando il tracciato sconnesso della preesistente National Old Trails Highway. Lungo i binari c’erano a intervalli più o meno regolari delle fermate dove i treni (a quel tempo a vapore) si rifornivano di acqua o dove vivevano i manutentori e le loro famiglie.

E c’era una fiorente attività mineraria nel territorio circostante, oltre all’intenso traffico di veicoli che percorrevano la strada in direzione ovest: per lo più si trattava di gente che, in piena Grande Depressione, raggiungeva la nuova frontiera in cerca di una vita migliore.

Con il completamento della I40 agli inizi degli anni ‘70 l’intero segmento venne bypassato e con l’invenzione dei motori diesel le watering station non erano più necessarie. Si aggiunga che la ferrovia oggi richiede molta meno manutenzione e che le miniere si sono esaurite da tempo. Così il traffico svanì, la gente progressivamente se ne andò, queste piccole cittadine e insediamenti di servizio sono andati man mano scomparendo anch’essi, inghiottiti dalle sabbie torride del deserto del Mojave. Letteralmente.

A riprova di questo, uscendo da Ludlow e lasciandosi alle spalle la vecchia gas station e il motel, per le prime 28 miglia non si incontra anima viva, o tracce di civilizzazione.

Dopo 13 miglia una strada sterrata sulla sinistra in corrispondenza di un vecchio copertone conduce al luogo dove un tempo sorgeva Siberia, uno degli stop per il rifornimento dei treni che percorrevano la Atchinson, Topeka and Santa Fe Railway. Inutile deviare e percorrerla alla ricerca di qualcosa che ormai non c’è più: troveresti solo un paio di muri e il pavimento in cemento probabilmente appartenenti alla stazione di rifornimento dello scalo.

A 20 miglia, sempre sulla sinistra, stessa scena, Sulle mappe è ancora segnata la cittadina di Bagdad, che oltre alla ferrovia serviva anche un paio di miniere nei dintorni, ma non c’è più nulla di visibile a testimoniarne l’esistenza. Gli ultimi edifici sono stati rasi al suolo nel 1991. Sotto l’ultimo albero rimasto è stato posto un malinconico cartello commemorativo che parla da sé. Una foto d’epoca che ho trovato sul web dimostra tuttavia in modo inequivocabile che questa cittadina, un tempo, è esistita davvero.

Proseguendo inizia a delinearsi sulla destra all’orizzonte il profilo scuro dell’Amboy Crater, un cratere vulcanico basso che eruttò a più riprese, l’ultima volta 10 mila anni fa, il basalto ancor oggi visibile nelle vicinanze. A questo punto, come detto a circa 28 miglia da Ludlow, finalmente si incontrano tracce di insediamenti umani: state per raggiungere la prima vera cittadina – se così possiamo chiamarla – rimasta sul percorso e sopravvissuta al tempo.

Superata la deviazione per il cratere e la junction (che porta dritto ai margini del parco Joshua Tree, distante 50 miglia attraverso il deserto in direzione sud) l’asfalto prima scende leggermente, poi risale e infine curva a sinistra per attraversare i binari della ferrovia. Nel 2013 io e il mio amico Simone (Ragno Rosso) iniziammo proprio da questo incrocio a T la nostra prima cavalcata sulla mitica Mother Road.

Poco prima del passaggio a livello troverete dipinto sull’asfalto il simbolo della strada che vedete nella mia foto qui sotto e poi di nuovo a fine articolo: credo sia in assoluto il punto più bello dell’intero segmento per una foto ricordo con questo iconico segnale stradale. Una quinta naturale, un punto arido e remoto con un fascino quasi lunare tipico del deserto del Mojave.

Oltre la ferrovia e la curva troverete finalmente Amboy, e il suo landmark più riconoscibile vale a dire l’insegna triangolare del Roy’s Motel and Cafè. Si tratta di un punto fotografico desolato e molto amato da chi percorre la Route 66, un posto dove il tempo sembra essersi fermato. È un simbolo della nostalgia americana e spesso appare in film, videoclip e pubblicità.

Amboy fu fondata nel 1858 come città mineraria, ma divenne rilevante nel XX secolo grazie alla Route 66, quando divenne una tappa importante per i viaggiatori diretti a ovest in fuga dal dust bowl. Poi L’apertura dell’Interstate negli anni ’70 ha deviato il traffico lontano da Amboy, causandone il lento e inesorabile declino.

Ad Amboy oggi non vive più nessuno, il diner e il motel nel 2013 non erano operativi, ma almeno la pompa di benzina era funzionante ma se trovate aperto – come capitato a noi – potete anche comprare qualcosa da bere o un souvenir.

Amboy lascia davvero un’impressione indelebile: più che un luogo, sembra un set cinematografico sospeso nel tempo. Oggi rimane ben poco oltre alla storica stazione di servizio e qualche altra struttura abbandonata o in rovina. È proprio quel senso di passato, di vuoto e isolamento a renderla così affascinante, quasi surreale.

Proseguendo oltre, dal lato sinistro della strada per molte miglia noterete molte opere di “rock art” lasciate dai visitatori della 66, essenzialmente dei nomi o, talvolta, delle figure disegnate con le pietre raccolte ai margini della strada.

Da qui in avanti si incontravano una serie di punti di rifornimento di acqua lungo il tracciato ferroviario, e dunque lungo la strada, le cui iniziali erano in rigoroso ordine alfabetico: la cosa sembra debba essere fatta risalire a tale Lewis Kingman, un ingegnere della Atlantic and Pacific Railroad che li progettò, probabilmente si trattava di un espediente mnemonico che aiutava anche ad orientarsi nella monotona successione tra una sosta e l’altra.

Della fermata successiva ad Amboy in realtà si è persa ogni traccia. Nelle vecchie mappe compare una fantomatica Bengal che neanche Google Maps sa localizzare. Percorse altre dieci miglia sul lato destro uno dei ruderi più affascinanti dell’intero percorso emerge dalle secche del tempo e del deserto: l’insegna del Road Runner’s Retreat, con un edificio in rovina e una pensilina. Si tratta di una stazione di servizio per le auto con annesso ristorante aperta nel 1962: come si vede anche da Google Maps qualcuno si è preso la briga di portare fin qui un cesso di ceramica e una poltrona e piazzarli sul margine della strada, forse un ironico invito a utilizzare i servizi dell’area di sosta.

Neanche due miglia più avanti si attraversa Chambless, in corrispondenza di una deviazione asfaltata sulla destra che conduce, a breve distanza, a Cadiz. Cadiz era lo scalo ferroviario, la C della serie alfabetica di Kingman, invece Chambless era l’insediamento abitato sulla 66. Ma sulle mappe, oltre che storicamente, tendono un pò a coincidere, anche perché – oltre che vicini – entrambi iniziano con la C.

In realtà Chambless era il cognome dei due coniugi che qui aprirono una gas station a inizio ‘900 e che ebbe un discreto successo negli anni ’30, con l’apertura della Mother Road, prima del declino inesorabile nella seconda metà del secolo. I resti dell’edificio sono ben visibili all’altezza della junction, l’insegna invece giace a terra; più nascoste sul retro ci sono pure le cabin dell’annesso motel.

Attraversare il deserto nei primi anni della Route 66 non era facile come lo è oggi. C’è una leggera salita per tutto il tratto che inizia da Amboy e termina con una pendenza via via più accentuata, poco oltre Chambless, al passo chiamato Cadiz Summit (circa 400 mslm). Molte auto si surriscaldavano prima ancora di raggiungerlo, oppure arrivavano a fatica, con vapore che usciva dai radiatori surriscaldati.

Non sorprende di trovare proprio in corrispondenza di questo spot i resti dell’omonima stazione di servizio, che doveva essere una visione gradita per i viaggiatori stanchi. Un’oasi nel deserto dove potevano riposarsi, mangiare o bere qualcosa, riempire il radiatore o il serbatoio, far riparare l’auto e persino passare la notte. Anche in questo caso, ci vuole un discreto sforzo di immaginazione per risalire a tutto questo partendo dalle poche tracce rimaste.

Superato il Cadiz Summit, la strada inverte la rotta e punta a nord est. Due miglia più avanti è localizzato un kiosk affacciato verso il nulla, visibile a malapena dalla strada. Il cartello fornisce informazioni storiche e curiosità sulla 66, può valere la pena fare una rapida sosta.

Danby è la successiva watering station lungo la ferrovia, a cui però non corrisponde alcun insediamento sulla 66. Essex invece si attraversa 10 miglia dopo il passo e risale al 1883, rimase una piccola stazione per molti anni come la maggior parte dei luoghi di sosta ormai quasi dimenticati e delle piccole comunità che punteggiano il deserto del Mojave lungo la Route 66, ma l’apertura della strada inaugurò anche in tal caso un periodo di relativa prosperità.

Essex era famosa per fornire acqua gratuita ai viaggiatori. La maggior parte delle aree di sosta nel Mojave faceva pagare l’acqua, ma l’Automobile Club of Southern California fece scavare un pozzo e installare una fontanella nei pressi del vecchio caffè, e l’acqua era gratuita.

Molte delle case e delle attività commerciali sono completamente scomparse o versano in uno stato pietoso di abbandono. Però, a differenza di Amboy, qui ancor oggi ci vive qualcuno.

E ci sono diverse cose interessanti da vedere, se siete interessati a vecchie rovine dei tempi andati. Prima tra tutte l’area su cui un tempo sorgeva il Wayside Cafè, proprio ai margini della 66 dal lato destro. Il vecchio pozzo sarà ancora lì, da qualche parte dietro le rovine della stazione di servizio.

Superata questa cittadina, c’è una biforcazione: nel 1931, solo 5 anni dopo l’apertura della 66, il tracciato in questo punto fu modificato. Il nuovo percorso tagliava attraverso le montagne dritto verso Needles, la deviazione sulla sinistra invece è il tracciato originale, che da quel momento sarà declassato e rinominato Goffs Road. Percorrendola, dopo poche miglia si attraversa il luogo in cui un tempo sorgeva Fenner, proprio in corrispondenza della Interstate (costruita una quarantina di anni più tardi).

La cittadina veniva di fatto bypassata dalla variante appena inaugurata e si spopolò già negli anni 30, gli abitanti si trasferirono nella vicina Essex che invece rimaneva sulla 66 e continuava a beneficiare di un traffico veicolare ancora discreto. Di Fenner non rimane praticamente nulla, la successiva realizzazione dell’intersezione con la I40 ha comportato la totale demolizione degli ultimi edifici e persino la cancellazione della vecchia sede stradale. Sai che l’hai appena superata quando vedi le palme (nell’area è presente una sorgente) e la gas station moderna, aperta in tempi recenti per servire il traffico della Interstate: il vecchio insediamento abitato era proprio lì davanti, oltre la ferrovia.

Dopo altre 10 miglia si arriva a Goffs, l’altra cittadina del percorso originario ancora popolata da qualcuno e con qualche edificio da vedere. In prossimità del passaggio a livello c’è la deviazione a sinistra che porta alla vecchia scuola, restaurata e adibita a museo, e alle poche case dell’abitato (il cartello dichiara 23 abitanti).

Appena superati i binari invece, sulla sinistra sorgeva il rudere del Goffs General Store, risalente ai primi del ‘900. Ricordo che lo notai e istintivamente ne fui incuriosito, così mi avvicinai per dare un’occhiata. L’edificio in rovina aveva un aspetto sinistro e surreale, ne ero indubbiamente attratto ma non ebbi il coraggio di smontare da cavallo e sbirciare l’interno.

Purtroppo il vecchio emporio, che era un altro degli spot fotografici più popolari lungo la Route 66, oggi non esiste più. Sul web ho trovato la foto dell’incendio che l’ha raso al suolo riducendolo a un cumulo di macerie nel 2021. Macerie che poi devono essere state anche rimosse, perché come evidente da Google Maps oggi al suo posto c’è uno spazio vuoto e il vecchio perimetro ancora visibile sul terreno.

Dopo Goffs, lungo la vecchia Route 66 ci sarebbero ancora Homer e Bannock (che evidentemente interrompeva la serie alfabetica delle stazioni progettate da Kingman) ma di entrambe non c’è traccia.

Nel nostro viaggio in Harley del 2013 arrivammo fino alla junction con la Interstate 95. Da qui in avanti Goffs Road (il tracciato della Route 66 dal ’26 al ’31) e la I95 coincidono e piegano a sud verso la I40, che occorre imboccare in direzione est per percorrere le miglia che mancano e arrivare infine a Needles, proprio al confine con l’Arizona.

Noi invece lasciammo Goffs Road e deviammo sulla I95 in direzione nord, lungo il nostro itinerario quella volta era previsto un pernottamento a Laughlin in Nevada. Da lì il giorno dopo partimmo per un’altra tappa entusiasmante sulla 66, però stavolta in Arizona, passando per Oatman e Seligman.

Devo dire che in quella occasione fummo anche molto fortunati, perché l’intero tratto era percorribile. Sembra paradossale, ma improvvise alluvioni che causano chiusure stradali sono molto più frequenti di quanto si pensi nel deserto del Mojave. I temporali estivi dovuti ai monsoni possono scaricare enormi quantità d’acqua in pochi minuti, e il suolo desertico è talmente secco e duro che non assorbe la pioggia; il tratto tra Amboy e Needles attraversa zone con canyon, avvallamenti e canali asciutti: l’acqua si incanala lì e scorre con potenza devastante, travolgendo i numerosi ponti bassi in legno che puntellano la sede stradale e li scavalcano. Possono passare anche molti mesi o addirittura anni, prima che vengano effettuate le riparazioni e riaperta la strada (che del resto non è molto trafficata).

E’ precisamente quello che mi è successo due anni dopo, nel 2015 quando tornai su quel tratto di 66 con Vale, la mia compagna. Il piano stavolta prevedeva di imboccarla proprio a Ludlow (due anni prima invece eravamo arrivati da sud, da Joshua Tree tramite la Amboy Road) e percorrerla fino a Needles.

Purtroppo subito dopo Amboy trovammo la strada chiusa e dovemmo deviare a nord in Kelbaker Road, prima di Chambless dunque, per tornare sulla moderna Interstate. Da lì poi filammo dritti fino a Needles, anche perché in quella tappa di quel viaggio avevamo già percorso veramente tante miglia (eravamo partiti la mattina da Venice) e trascorso tutto il giorno in macchina.

Naturalmente la Mother Road fu protagonista delle nostre scorribande in Harley anche l’anno precedente. Nel 2014 partimmo in tre (oltre al Ragno Rosso c’era nel branco il mitico Michele) da Los Angeles e finimmo a New Orleans, dall’altra parte del continente. Ma per quanto riguarda la California, in quella occasione, scelsi di percorrere la Route 66 nel tratto da Victorville a Barstow, a mio parere di gran lunga meno remoto e affascinante di questo. Da Barstow poi quella volta andammo verso nord in direzione Death Valley, un altro posticino un pò desolato ed estremo… lo ammetto, ho un debole per i deserti.

Ma se siete alla ricerca di una genuina esperienza di guida sulla Route 66, la Mother Road degli Stati Uniti d’America, e volete provare cosa rappresenta questa strada, per me non c’è discussione: è il tratto californiano tra Amboy e Needles, quello che dovete percorrere. Sarà un viaggio in un paesaggio e un tempo sospesi, dove tutto ormai tace ma tutto ancora parla. Come nel concerto dei Pink Floyd a Pompeii, in un certo senso: niente pubblico, solo rovine. E un’eco di fantasmi e vite passate che arriva da lontano.

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