Qualche tempo fa ho passato la mattinata allo IED, Istituto Europeo di Design, con le ragazze e i ragazzi del corso di Design della Comunicazione. È stata molto piacevole, le tantissime domande che mi hanno fatto denotavano una vivace curiosità e un acuto senso critico.
Parlavamo di pubblicità digitale, delle nuove tecnologie e di tutti questi “nuovi” tour operator con proposte di vacanza specificatamente dedicate ai giovani (cioè a loro). Veratour invece non la conoscevano proprio: io parlavo di villaggi turistici in riva al mare, di coppie (adulte) e famiglie in cerca di comfort e relax; quelli mi guardavano con l’aria interrogativa di chi ha di fronte un alieno. Quando ho detto che a Veratour non interessa fare vacanze per persone della loro età, qualcuno ha osservato che si tratta di una scelta incomprensibile e poco lungimirante (in altri termini di una miopia di marketing), perché i giovani di oggi saranno gli adulti di domani.
Così più che di digital advertising siamo finiti a parlare di marketing (anche se dal mio punto di vista non si tratta di due temi diversi), di tecnologie, di segmenti e di tecnologie che creano nuovi segmenti. Ma andiamo con ordine, che in poche righe ho messo già tanta carne sul fuoco.

Delimitiamo innanzitutto il campo, ovvero il mercato. Parliamo dei viaggi leisure, cioè delle persone che viaggiano principalmente per svago nel loro tempo libero. Si viaggia anche per altri scopi, ad esempio per lavoro (business travel), per ragioni legate allo studio (i più giovani), per partecipare a eventi musicali (concerti, festival, raduni) o a manifestazioni sportive (olimpiadi, mondiali, maratone) o per motivi religiosi (pellegrinaggi, giubilei, ricorrenze), ma appunto sono altri tipi di Travel, altri mercati.
Ok, ora che abbiamo un mercato (quello delle vacanze) dobbiamo “leggerlo”, interpretarlo e mapparlo. Abbiamo bisogno di dimensioni significative per suddividere i consumatori in gruppi, sufficientemente omogenei al loro interno ma differenti tra di loro. Ci servono le cosiddette variabili di segmentazione.
Per semplicità di ragionamento, oltre che di esposizione, immaginiamo di usare le più intuitive.
- Una variabile comportamentale, vale a dire la capacità di spesa: in questa sede non ci interessa definire lo scontrino al centesimo, solo le categorie; diciamo allora “bassa, medio-bassa, medio-alta, alta”
- Una variabile risultante dall’uso combinato del ciclo di vita familiare + la classica variabile demo: avremo dunque da una parte “single, gruppi e amici, coppia, famiglia” dall’altra una cosa del tipo “young, young-adult, adult, senior”.
Se pertinente (dipende dal caso che si prende in esame, alcune aziende ad esempio scelgono di rivolgere la loro offerta a un preciso ambito territoriale), potremmo ulteriormente segmentare attraverso la variabile geo (una delle più celebri è l’area Nielsen).
Aggiungendo infine una ulteriore variabile, arriviamo ad avere un profilo già molto preciso dei nostri turisti anche sotto il punto di vista psicografico: stiamo parlando degli attributi/benefici ricercati nel prodotto dai consumatori. In due parole, “perché comprano”: a mio avviso la variabile più importante che esista.
Semplificando molto, chi in una vacanza cerca il divertimento sfrenato, prenota destinazioni e servizi turistici (trasporti, alloggi, esperienze a destinazione) molto diversi da chi ha come scopo del viaggio quello di visitare i luoghi di interesse più iconici di uno specifico Paese come gli Stati Uniti o la Thailandia, o da chi vuole essenzialmente rilassarsi al mare o in montagna, o ancora visitare musei e monumenti in una città d’arte. E così via.
Come evidente da questi esempi, in genere ne bastano tre di variabili per ottenere un mosaico già piuttosto articolato ma operativamente ancora gestibile; con più di tre la faccenda si complica e diventa materia per chi si occupa di ricerche di mercato, inoltre bisogna vedere se ne vale la pena (l’ipersegmentazione è dietro l’angolo, stesso dicasi per la cosiddetta paralisi da analisi).
A questo punto, precisiamo anche due cose. Si può segmentare lo stesso mercato in modi diversi, addirittura alternativi a seconda (ad esempio) degli obiettivi di business o del ciclo di vita del prodotto. Ancora: basandoci sull’esperienza d’acquisto, potremmo dividere i consumatori tra quanti “fanno da soli” e acquistano tipicamente tramite il web singoli servizi turistici e quanti invece acquistano pacchetti di servizi turistici integrati pre-assemblati o costruiti on-demand da imprese del turismo organizzato (tour operator e/o agenzie di viaggio). Non c’è giusto e sbagliato in assoluto, non ha senso parlarne in questi termini. Ci sono invece segmentazioni più o meno funzionali, ovvero utili per pianificare e gestire al meglio l’offerta che si porta sul mercato.
L’altra è che fai business anche senza aver prima spaccato il pelo dell’uovo, la realtà dei mercati è fatta di infinite sfumature e sovrapposizioni più che di confini netti. La segmentazione non è un obbligo formale, ma serve per fare le cose con maggiore consapevolezza ed efficacia. È uno strumento classico del caro vecchio “marketing inteso come disciplina” (seconda metà del secolo scorso) che ti aiuta a mettere a fuoco chi sei e cosa fai, qual è il tuo mercato di riferimento, chi altri vi opera, cosa ti distingue e cosa potresti fare meglio.
Precisazioni fatte, torniamo ai nostri segmenti. Esaminiamo le varie combinazioni scaturite dall’incrocio delle variabili ipotizzate: ce n’è una che ricalca in modo abbastanza verosimile l’identikit dei consumatori di cui parlavo all’inizio: adulti ma ancora giovani (o giovani ma già adulti), capacità di spesa medio bassa, tipicamente single ma amano l’idea di trovare nuovi amici con cui condividere la vacanza. Più o meno ci siamo. Il quesito a questo punto è il seguente: “prima” (vale a dire fino a cinque o sei anni fa) cosa compravano? Cioè dove andavano in vacanza, quando ancora non erano venuti fuori tutti questi nuovi tour operator specializzati nei viaggi di gruppo zaino in spalla per trentenni?

Lì per lì ho azzardato risposte del tipo: a Rimini, Lloret de Mar o similari. I più secchioni facevano le vacanze alla pari. Quelli che al ritorno volevano darsi arie da bohemien, e avere qualcosa di leggermente più avventuroso da raccontare, andavano in interrail. Per la verità esisteva (ed esiste ancora) un antesignano che proponeva – già dai lontani anni ’80 del secolo scorso – viaggi dedicati in particolare ai single e con connotati sorprendentemente simili (li vedremo più avanti) a quelli dei nuovi tour operator, però su una fascia demografica più adulta. E fino a non molti anni fa la “singletudine” non era cool, uno status che sbandieravi con orgoglio sui social, ma una sfiga che confessavi con un misto di pudore e imbarazzo solo a persone con cui eri abbastanza in confidenza…

Digressioni a parte, la risposta forse più giusta in realtà è che “prima” semplicemente i giovani adulti di cui stiamo parlando non esistevano; non esistevano non come persone, intendiamoci, o come mera fascia demografica, ma come segmento di mercato. Infatti non c’era un’offerta appositamente studiata per loro, né player di mercato in competizione per cercare di accaparrarsi le loro preferenze di vacanza, e i relativi budget.
Chi li ha creati, e quando sono venuti fuori? La risposta breve sarebbe: la tecnologia, i media sociali. Volendo essere meno semplicistici, occorre allargare il focus e fare varie considerazioni di tipo quasi sociologico. Del resto i mercati sono persone (i segmenti sono gruppi di persone con bisogni/desideri simili); non dimentichiamo inoltre che la tecnologia ha a che fare con gli utenti, dietro lo schermo dei device ci sono le persone che li utilizzano. Dunque parliamone, di queste persone.
Social media is about sociology and psichology more than technology.
Brian Solis
I giovani adulti appartengono a una fascia demografica che grosso modo include persone di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Questa categoria comprende individui che si trovano in una fase di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta piena, caratterizzata da importanti cambiamenti e decisioni di vita come la fine degli studi, l’inizio della carriera lavorativa, l’indipendenza finanziaria e spesso la formazione di nuove relazioni personali significative.
Come gruppo di consumatori omogeneo, raggiungibile e attraente (i requisiti di un segmento-target) ha cominciato ad emergere a partire dalla metà degli anni 2000, parallelamente a diversi cambiamenti demografici, sociali e tecnologici. Tra essi, la crescita delle tecnologie digitali ha certamente dato un contributo preponderante: l’avvento di Internet, dei social media e dei dispositivi mobili ha trasformato il modo in cui i giovani adulti (e non solo loro, ne avevo già parlato in questo articolo) comunicano, si informano e fanno acquisti. Le tecnologie digitali c’entrano anche in un altro senso, ma ci torneremo tra poco.
Un altro fattore determinante è l’aumento della mobilità internazionale: con la globalizzazione e il costo ridotto dei viaggi aerei, i giovani adulti hanno avuto maggiori opportunità di viaggiare e di esplorare il mondo. Stiamo parlando della generazione che per prima ha riempito i voli delle compagnie low cost, decretando il successo di quel nuovo modello nel settore del trasporto aereo affermatosi a partire dalle liberalizzazioni dei cieli europei sul finire del secolo scorso.
Ci sono poi da considerare i cambiamenti nei percorsi di vita: per varie ragioni, i giovani adulti di oggi tendono a rimanere più a lungo nel sistema educativo e nella famiglia di origine, a sposarsi più tardi e a posticipare la formazione di una propria famiglia. Questo ha creato un periodo di vita più lungo durante il quale sono inclini a sperimentare nuove avventure e relazioni, e hanno la libertà o la possibilità di farlo.
C’è stata poi una crescita del consumo esperienziale, intesa come crescente enfasi sulla ricerca di esperienze piuttosto che sull’acquisto di beni materiali. I giovani adulti sono più propensi a spendere denaro in esperienze formative e di vita come appunto viaggi, eventi e attività ricreative. Cose che lasciano un segno nel percorso di crescita e sviluppo della propria identità, che arricchiscono interiormente e meno legate all’ostentazione di uno status.
Riassumendo, nei giovani adulti tendono a ricorrere alcune caratteristiche che li definiscono e differenziano anche nel mindset, nello stile di vita, rispetto alle fasce demografiche precedenti:
- Desiderio di esplorazione: spesso sono interessati a scoprire nuove culture, luoghi ed esperienze e disponibili ad adattarsi.
- Apertura mentale: sono generalmente più aperti al cambiamento e alle nuove idee.
- Uso della tecnologia: sono nativi digitali o comunque molto familiari con l’uso di tecnologie moderne e social media.
- Socializzazione: valutano molto le interazioni sociali e le esperienze condivise e significative.
Fino alla metà dello scorso decennio il concetto di targetizzare i giovani adulti come specifico segmento nel mercato del turismo organizzato non era ancora così sviluppato. La recente evoluzione delle piattaforme di advertising online ha avuto un ruolo chiave: le opzioni di targetizzazione messe a disposizione per le inserzioni in modalità programmatic, sempre più precise e data-driven, hanno materializzato un segmento di mercato che prima non c’era. Ciò ha portato alla nascita dei nuovi tour operator, specializzati nell’ideazione di pacchetti di viaggio che rispondono ai loro interessi, preferenze e stile di vita.
In altre parole, le tecnologie digitali e i social media (di cui i giovani adulti sono “heavy user”) hanno reso tecnicamente possibile raggiungere queste persone; e le aziende hanno iniziato a riconoscerne il potenziale di mercato, assumendoli come destinatari elettivi della propria offerta: sì, stiamo parlando di targeting.
Qui occorre fare le dovute distinzioni tra targetizzazione tradizionale, così come la si intende nel caro vecchio processo di marketing management, e quella online, resa possibile dalle piattaforme pubblicitarie digitali (da Google Ads e Fb Ads in giù, ormai ce ne sono centinaia).
Nel marketing tradizionale, il targeting si riferisce alla pratica di identificare e scegliere strategicamente specifici segmenti di pubblico che sono più suscettibili di essere interessati ai prodotti o servizi di un’azienda. I classici mezzi per raggiungerli erano e sono ancora oggi televisione, radio, stampa, cartellonistica e altro ancora. In tutti questi casi si parla di marketing e pubblicità offline, che tipicamente attraverso spazi a pagamento veicolano il messaggio elaborato a segmenti di pubblico ampi scaturiti da analisi e studi di mercato.
Nel digital advertising, invece, il targeting promette di essere molto più preciso e mirato. Le piattaforme digitali raccolgono una vasta quantità di dati sui comportamenti online degli utenti, consentendo agli inserzionisti di segmentare i destinatari degli annunci (e gli annunci stessi) in base a fattori come i comportamenti di navigazione (pagine web visitate, gli articoli letti, le ricerche effettuate, acquisti online passati), interessi specifici (interazioni con contenuti online come mi piace sui social media, visualizzazioni di video, clic su annunci, ascolto di podcast), il tipo di dispositivo utilizzato, il sistema operativo, dati di localizzazione e altro ancora. E’ inoltre possibile monitorare in tempo reale le prestazioni delle campagne tramite KPI’s (che, vale la pena precisarlo, sono anch’essi comportamentali: parliamo di visualizzazioni e clic) e apportare eventuali ottimizzazioni, cosa quasi mai possibile nel marketing offline.
Ciò detto, a proposito di scelta del target, come hanno reagito i tour operator “tradizionali”, quelli nati nel secolo scorso e sopravvissuti negli ultimi 20 anni (visto che tanti invece nel frattempo si sono estinti…)? Veratour è una di queste aziende, un tour operator specializzato nell’offerta di villaggi turistici nelle location di mare più belle e caratterizzati dall’italianità dei servizi. Come dicevo ai ragazzi dello IED, noi ad esempio abbiamo deciso di ignorare questo target: anche stavolta, non nel senso che non sappiamo che esista, ma che strategicamente non ci interessa provare a raggiungerlo con un’offerta mirata. A ben vedere, anche questa è una scelta di targeting.
Le ragioni di tale valutazione sono molto semplici: al pari di altri segmenti, non lo riteniamo attraente per capacità di spesa (e quindi per la marginalità che se ne può ricavare), e anche perché onestamente – in virtù di una forte specializzazione sul nostro prodotto di sempre – non abbiamo le competenze e le credenziali per servire con il necessario appeal quel pubblico. Veratour ha anche una seconda linea di prodotto oltre i villaggi, quella dei viaggi itineranti organizzati su destinazioni di lungo raggio, ma appunto sono rivolti a un target molto diverso (certamente più adulto, con maggiore capacità di spesa, meno orientato alla socializzazione durante il viaggio e più interessato alla qualità e al comfort dei servizi prenotati etc.). Altri tour operator della vecchia guardia, con obiettivi di business (volumi e non margini) e strategie di mercato (multi target e multi brand) differenti dalle nostre, altrettanto legittimamente invece hanno scelto di farlo e stanno giocando la partita.
I tre o quattro nomi più noti strategicamente posizionati sul segmento offrono un’esperienza di viaggio itinerante e in piccoli gruppi, composti da ragazzi e ragazze che prima della partenza non si conoscono tra loro (se non tramite i gruppi fb). A ben vedere, la main promise è proprio quella di farsi nuovi amici/amiche (…), perché il gruppo è costituito rigorosamente da persone affini per età e interessi. Altro aspetto ricorrente è il taglio “avventuroso” e “autentico” dell’esperienza di viaggio, per via del fatto che il coordinatore del gruppo dovrebbe essere un viaggiatore esperto, un travel blogger, o comunque uno che conosce bene la destinazione e quindi ti fa visitare posti meno turistici e interagire davvero con le comunità locali. E’ meno importante invece il livello e il comfort dei servizi, anzi: proprio le visite faticose e le accommodation volutamente spartane rendono il viaggio più “vero” (e meno caro…).

I connotati essenziali sono questi e le offerte dei player si somigliano un pò tutte, ma questa è una dinamica abbastanza tipica quando diverse aziende valutano come attraente lo stesso segmento e lo scelgono come target. Anche nel caso dei villaggi turistici, ad esempio, abbiamo tre o quattro competitor diretti che ripropongono essenzialmente lo stesso nostro format di prodotto: strutture di buon livello (non sempre e non necessariamente il classico villaggio, tradizionalmente spartano ed essenziale, ma anche alberghi o resort) tutte a due passi dal mare (solitamente molto bello) arricchite dai servizi di “cucina, animazione e assistenza” erogati direttamente (o comunque supervisionati) dal nostro personale. Una formula piuttosto collaudata, sempre molto apprezzata dalle persone “in target” e che certamente non è stata inventata da Veratour (ma che ormai da molti anni il mercato associa immediatamente alla nostra marca). Diventa importante allora, a maggior ragione, differenziare in qualche modo la propria offerta da quella dei concorrenti.
Ma chi è un competitor? Un competitor diretto è chi offre allo stesso target lo stesso tuo prodotto (nel caso di Veratour chi vende altri villaggi turistici o similari, siano essi tour operator puri, albergatori o una fattispecie mista tra le due). Un competitor indiretto è chi offre allo stesso target un prodotto diverso (in tutto o in parte) ma tale da rappresentare una scelta di acquisto e consumo alternativa (quindi non un villaggio, o comunque una struttura con servizi da villaggio turistico, ma ad esempio un classico albergo/resort o proprio un altro tipo di vacanza organizzata come una crociera).
Un competitor (vale sia per i diretti che per gli indiretti) dunque può sia appartenere al tuo stesso settore produttivo (i tour operator non organizzano e vendono solo pacchetti vacanze con i “villaggi”, ma anche con alberghi, resort, tour itineranti etc.), sia ad un settore diverso (ad esempio catene alberghiere, compagnie di crociere etc.). Infine se un’azienda rivolge la sua offerta ad un target diverso dal tuo, ad esempio a una fascia di mercato più bassa, non è un competitor; anche se il prodotto è lo stesso.

Poi, come dicevamo, nella realtà i confini sono molto più sfumati di così e ci sono aree di parziale sovrapposizione. Quando hai una gamma (o magari per effetto di una promozione) può capitare che ci siano prodotti con un prezzo a cavallo di due differenti segmenti e sulla specifica vendita possono entrare in competizione con l’offerta di altri player della fascia immediatamente inferiore (o superiore), che restano comunque dei “non competitor” sul piano prettamente strategico.
Il posizionamento strategico e la necessità di differenziare l’offerta da quella dei competitor diretti sono strettamente collegati ad un altro tipo di posizionamento detto percettivo-competitivo. Quest’ultimo fotografa lo spazio occupato da un prodotto o una marca in relazione ai concorrenti dal punto di vista dei consumatori. Come dice anche il nome, stiamo parlando del percepito dei clienti, uno spazio mentale nella loro testa, una cosa impalpabile ma fondamentale: non conta tanto come un’azienda, brand o prodotto si propone al mercato e cosa racconta di sé stessa (ad esempio attraverso il marketing o le PR), ma come viene effettivamente percepita dalle persone che lo compongono. Un posizionamento forte, riconoscibile, distintivo rappresenta un vantaggio competitivo prezioso dal momento che differenzia la tua offerta da quella dei concorrenti e influenza pesantemente le scelte d’acquisto.
Il marketing è una battaglia di percezioni, non di prodotti.
(Al Ries e Jack Trout)
Come ci si può differenziare allora dagli altri player? In teoria sono tante le opzioni a disposizione, ma di fatto non è così semplice perché molte possono essere copiate. Ad esempio si possono usare le leve del marketing mix, intervenendo sulle caratteristiche tangibili di un prodotto oppure sul prezzo e/o sulla distribuzione.
Ovviamente si può agire sul piano simbolico, quello della comunicazione e dell’immagine, del branding, elemento differenziante per antonomasia (ne ho parlato qui). O ancora ripensando il target, i casi d’uso, l’esperienza d’acquisto o quella di fruizione. Un esempio (ormai classico) è la saponetta Dove: da oltre 50 anni (cioè da quando il geniale pubblicitario David Ogilvy la ripensò in questa chiave), non un banale sapone per le mani sporche ma un prodotto di bellezza per le donne con la pelle secca.
Nel caso dei nuovi tour operator posizionati sul segmento dei viaggi di gruppo avventurosi e zaino in spalla, abbiamo detto che le proposte ormai fisiologicamente tendono a somigliarsi molto. E ai fini della differenziazione e del posizionamento, la storia dei capigruppo “local” a me personalmente non sembra una scelta convincente per varie ragioni.
Innanzitutto ormai tutti la presentano come proprio punto di forza, il che significa che sulla carta, in astratto, non differenzia più nessuno. Certo, i più grandi creativi della storia della pubblicità (parliamo del secolo scorso) e gli stessi Ries e Trout (che teorizzarono il concetto di posizionamento percettivo-competitivo agli inizi degli anni ’70) insegnano che se sei il primo a trovare uno spazio libero nella mente del consumatore e ad occuparlo, hai un vantaggio tattico non indifferente: in questo modo avrai legato alla tua marca una caratteristica ben precisa, gli altri che vorranno posizionarsi sul quello stesso connotato saranno solo degli epigoni. E, oltretutto, ti faranno pubblicità indiretta.
Però – aggiungo io – occorre anche una solida credibilità e anni di brand reputation legata all’esperienza (e ai feedback) dei clienti, per consolidare un vero vantaggio competitivo a partire da quella che altrimenti rischia di essere una dichiarazione d’intenti alla portata di chiunque: si tratta di una maratona, non dei cento metri! Molti utenti qua e là su web e social stigmatizzano ad esempio il fatto che il capogruppo del loro viaggio non era poi tanto pratico della destinazione, sembrava più uno a cui è stato fatto un briefing prima di partire. Per quel che vale, anche un paio di persone che conosco e hanno viaggiato con alcuni di questi tour operator me lo hanno confermato.

Se non soddisfi le aspettative dei tuoi clienti, se la loro esperienza le sconfessa, si apre un divario pericoloso tra immagine proiettata e immagine percepita che, oltre certi limiti, può minare alla base un buon posizionamento (anche se sei stato il primo). Del resto per crescere anno dopo anno, nel Travel devi necessariamente ampliare la gamma di destinazioni proposte: non so quanto sia sostenibile e credibile il fatto che in tutti i viaggi ovunque nel mondo tu abbia dei capigruppo esperti della destinazione. Questa cosa rappresenta un limite alla replicabilità del modello e una minaccia alla sua genuinità per chiunque, sia esso first mover o newcomer, leader o sfidante.
Piuttosto, a mio avviso, il vero vantaggio competitivo potrebbe e dovrebbe risiedere nella forza e nella vitalità della community sottostante; torno a dire, quello che questi tour operator vendono (in modo più o meno esplicito) al loro pubblico è la promessa di fare esperienze significative condivise con persone simili e di farsi nuovi amici/amiche (ok la riformulo, anche se ci sta tutta… di fare nuove amicizie). Una community attiva e ingaggiata che consenta di tener fede a questa promessa non la puoi simulare né improvvisare, anche in questo caso occorrono anni di pazienza e costanza per costruirla; rappresenterebbe però un elemento realmente differenziante e posizionante, fonte di un vantaggio competitivo sostenibile perché difficile da insidiare nel breve.
Chiudiamo a questo punto con un’ultima domanda, che ci riporta al punto di partenza. Ho appena detto che la community può fare la differenza procurando un posizionamento distintivo tra i player di mercato che scelgono come target lo stesso segmento. Ma quanto “dura” un segmento? Siamo sicuri che nel tempo resti uguale a se stesso? Che quello che cercano le persone di quel segmento non cambi, o le persone stesse non cambino?
I ragazzi dello IED di certo appartenevano al segmento di mercato di cui abbiamo ampliamente parlato in questo articolo. A loro, con un pizzico di sana invidia e un pò più di esperienza (ahimè entrambe dovute alla maggiore età) ho posto la stessa domanda come spunto aperto di riflessione, lasciandola volutamente senza risposta. Almeno senza una risposta certa, perché solo il tempo potrà dirci come andranno le cose.
Però ho offerto loro anche la mia personale previsione, che suona più o meno così: “quando tra molti anni metterete su famiglia e avrete un figlio o due, piuttosto che un viaggio zaino in spalla è molto probabile che anche voi vorrete trascorrere le vostre vacanze all’insegna del meritato relax su una spiaggia da sogno, coccolati dai servizi di un resort tutto incluso! Magari non proprio tutti, ma una buona parte di voi. Un segmento…” Appunto. 😄