E’ curioso che a fare il Digital Marketing Manager nell’azienda in cui lavoro sia uno che non è particolarmente appassionato di tecnologie digitali, cioè il sottoscritto. Ricordo che all’università facevo ricorso al pc molto malvolentieri, e che avevo delle posizioni a dir poco “apocalittiche” circa le conseguenze che l’avvento delle nuove tecnologie e del web avrebbe avuto, in particolare sulle relazioni tra le persone.
Oggi chiaramente il mio punto di vista su tutta la faccenda è un po’ più sfaccettato, ti sarà evidente se avrai voglia di leggere quello che scrivo. Tuttavia la tecnologia in sé continua ad essere piuttosto in basso nell’elenco dei miei interessi, né apparterrò mai al cluster degli early adopters. Allora come sono finito a lavorare con siti web, sistemi di crm e marketing automation, newsletter, piattaforme di programmatic advertising, canali social, touchpoint digitali e altri trastulli simili?
Cominciamo dall’inizio, o quasi. Col marketing è stato amore a prima vista, un colpo di fulmine. Per come la vedo, il marketing non è altro che logica e buon senso elevati a metodo. Certamente non sono stato io il primo a pensarlo, ma è la prima cosa che pensai all’epoca; studiavo per preparare l’esame, credo fosse il quarto anno di università. Un approccio basato su un rigoroso processo di analisi, pianificazione strategica e gestione operativa delle attività legate a un’offerta di un qualche tipo; tutto molto semplice, lineare, conseguente: wow! E poi comprendeva la comunicazione pubblicitaria, le pubbliche relazioni e tante altre cose stimolanti.
Nell’istante stesso in cui leggevo quei manuali, sapevo che quello che c’era scritto dentro era anche ciò che poi avrei voluto fare. Il problema è che quei libri sono stati scritti quando la tecnologia digitale che conosciamo oggi non esisteva, e io li studiavo in anni in cui il suo impatto non era ancora così pervasivo.

Nel frattempo il mondo si è totalmente digitalizzato. Il lavoro, il privato e la vita quotidiana di ognuno di noi, il modo in cui interagiamo con gli altri (e con i brand), cosa facciamo nel tempo libero per intrattenerci, come compriamo; persino ciò che compriamo si è digitalizzato, in molti casi. L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito. La tecnologia è penetrata in tutti questi ambiti impattando profondamente sul mondo e sul modo in cui viviamo. Al punto che abbiamo appreso (ma sempre dal web o sui social…) della nascita di pratiche di Digital Detox, e in ambito turistico c’è già chi ha pensato di farne la usp della propria offerta di hospitality. Per non parlare di quanto abbiamo sperimentato durante il recente lockdown, ovvero il ruolo avuto dal Digitale nel connetterci virtualmente ed emotivamente con persone (e brand) fisicamente distanti mentre rimanevamo confinati nelle nostre case.
Il marketing ha a che fare con i bisogni delle persone, in ultima analisi: come poteva rimanere impermeabile a tutto questo? Come poteva non integrare le tecnologie digitali tra i suoi strumenti e, un attimo dopo, non evolvere anche il suo bagaglio teorico? Come poteva non diventare anche digital? Alla luce di questo, mi sembra totalmente privo di contenuto il dualismo anche solo terminologico tra marketing e digital marketing.
Qualche tempo fa mi è capitato di leggere una autentica invettiva di un pubblicitario di lungo corso, ce l’aveva con il fatto che una fetta sempre più consistente di budget pubblicitario oggi i brand lo spostano con una certa sconsideratezza sui canali digitali, su obiettivi di marketing e metriche totalmente insignificanti e privi di “reale” consistenza; delineava insomma una netta distinzione tra advertising e advertising online, che a me ha molto ricordato quella tra marketing e digital marketing. Ecco, voglio parafrasare il filosofo e dire che una contrapposizione di questo tipo non ha molto senso: oggi il marketing è anche digitale, e non può non esserlo. Ovviamente esistono differenze tra la pubblicità offline e quella sul web, e sono opportune mille puntualizzazioni in proposito. Ma il punto è che
“Non è questione di fare digital marketing, ma di fare marketing in un mondo digitale”
Clive Sirkin
Chi di professione fa il marketer può anche illudersi di ignorare deliberatamente il digitale, per così dire, e continuare a pensare ed operare all’interno del vecchio perimetro. Ma come dicevamo il marketing ha a che fare con le persone, e le persone il digitale invece lo usano. Un esempio banale. Sei un brand: puoi decidere di non presidiare i canali social e ignorare cosa dicono o fanno le persone lì sopra (o lì dentro). Se hai un business tradizionale, con i piedi saldamente piantati nella realtà “reale”, può sembrarti una possibilità. Ma i canali social difficilmente ignoreranno te. Con tutta probabilità, e tuo malgrado, il brand sui social già c’è.
Oggi le persone nel loro tempo libero non socializzano solo al bar (come si faceva al tempo dei miei genitori) o al muretto (come facevo io), vanno sul web e stanno sui social; questo non riguarda solo i nativi digitali, ma sempre più anche le altre fasce demografiche. Scrivono, parlano, si scambiano contenuti su tutto. Anche sul tuo brand. E’ vero: i mercati sono conversazioni; e quello che dicono di te online si chiama web reputation.

Non si può non comunicare, vale anche per i brand. E il mezzo è ancora il messaggio (anzi, lo è più di prima). Spesso mi tornano alla mente questi due principi su cui sono state basate teorie e prassi nella comunicazione e nel marketing. Risalgono al secolo scorso, e sono ormai dati per acquisiti; ma non per questo hanno smesso di essere attuali, anzi valgono a maggior ragione nel mondo digitale che viviamo oggi, continuando a generare preziose letture dei fenomeni che osserviamo e indicazioni operative molto utili per un addetto ai lavori. E questo vale per la maggior parte degli strumenti teorici e del bagaglio concettuale del marketing.
La matrice BCG l’ho usata l’ultima volta quando abbiamo fatto audit dei canali social, il posizionamento percettivo-competitivo lo devi avere in testa ogni volta che metti fuori un contenuto (tutti i giorni), dal ciclo di vita del prodotto derivano i modelli di buying cycle e tutto quello che puoi fare online in termini di retention e loyalty. Sto citando solo i primi che mi vengono in mente. Le tecnologie digitali aprono nuove frontiere che integrano, non stravolgono, tutto quello che avevo studiato. Hai strumenti e canali nuovi, puoi “fare cose” di marketing che quando hanno scritto i manuali su cui ho studiato semplicemente non si potevano concepire; e con modalità di esecuzione, gestione e valutazione che offline non ci sono. I principi di fondo del marketing a mio avviso non sono diversi o superati, non perdono di validità. Semmai vanno aggiornati e possono risultarne arricchiti. Ma il Digital rende la faccenda (ovvero il marketing) più interessante di prima, se possibile.
Fin qui, credo di aver sufficientemente esposto il mio pensiero sul dilemma parafrasato nel titolo di questo articolo. Devo ammettere tuttavia che quanto sopra non mi è stato chiaro sin da subito, e che non risponde al quesito biografico iniziale (almeno non del tutto): com’è che sono finito a fare digital marketing? Ne parlerò in modo più approfondito nei prossimi post. 😊
3 pensieri riguardo “Digital o non Digital? Il (falso) problema del marketing.”