TikTok fa sempre più notizia. Per i media worldwide, non solo quelli digitali, deve trattarsi di una specie di manna caduta dal cielo: ogni notizia che riguarda “la app della GenZ” e la casa madre cinese ByteDance si inserisce in un vero e proprio filone di newsmaking ormai consolidato e molto di moda. Mai come nelle ultime settimane mi imbatto in notizie riguardanti l’inarrestabile ascesa di TikTok, che dopo aver travolto Meta e ogni altra cosa nel mondo dei social network si prepara a sfidare giganti come Google (Alphabet) e Amazon sul loro terreno.
A volerlo sintetizzare, il quadro è un pò questo. Lo scorso anno ByteDance ha acquistato Pico, produttore cinese di visori per la realtà virtuale, e sono successivamente apparsi negli States decine di annunci di recruiting su entrambe le coste che lasciano prefigurare una vera e propria strategia di penetrazione del mercato americano. Nei giorni scorsi inoltre è stato presentato il nuovo visore Pico 4, prodotto di punta destinato al mercato consumer in diretta concorrenza con Quest 2 di Meta (ex Facebook).
Curiosamente la storia si ripete praticamente identica, sempre in questi giorni, ma in un differente settore imprenditoriale e di business. Sul profilo linkedin dell’azienda cinese sarebbero apparsi altri job post apparentemente incongruenti: stavolta si parla di figure specializzate in ecommerce, retail, logistica e distribuzione. Il pensiero non può che andare ad Amazon, che a dispetto dei servizi cloud (la vera fonte di profitti), dello streaming, dei viaggi spaziali e di mille altre cose, tutti noi abbiamo usato almeno una volta nella vita per comprare qualcosa online e poi farcela arrivare comodamente a casa.
Bisogna essere testardi nella visione e flessibili nei dettagli.
Jeff Bezos
Di recente infine, tra i casi d’uso di TikTok si segnala una inedita e inattesa tendenza da parte degli utenti a usarla sempre di più come motore di ricerca, in particolare su alcuni tipi di query (e naturalmente – per il momento – sulla fascia di utenza “heavy user”, vale a dire gli adolescenti). Curiosamente, è stata la stessa Google (Alphabet) a far notare questa circostanza e darle rilievo, per difendersi dalle accuse di monopolio sulle ricerche online che da più parti le vengono puntualmente mosse.
Vale anche la pensa precisare che, se abbondano le notizie sulle mirabolanti avventure imprenditoriali di ByteDance, le informazioni di carattere economico-finanziario invece l’Occidente non le conosce mica: sono pur sempre cinesi (e infatti, se ricordate, l’ex presidente americano Trump ne fece una questione di sicurezza nazionale), la trasparenza non è un obbligo legale né un imperativo morale. E sembrerebbe esserci una faccia oscura della luna (scusate la metafora off topic): secondo un leak che ha avuto il debito risalto sul Washington Post, nel 2021 TikTok ha perso l’incredibile cifra di 7 miliardi di dollari, principalmente a causa di costi/investimenti in ricerca e sviluppo e nel marketing, una cifra che fa impallidire perfino Meta.
Piccolo inciso, il mondo delle startapp (crasi di start up e app, termine di cui da questo momento rivendico la paternità) del resto funziona così. Non conta la redditività dell’attività d’impresa ma la scalabilità, si va in perdita ma si guadagna una base clienti fino a raggiungere una massa critica che consentirà poi di monetizzare in qualche modo. Nel frattempo cosa si fa? Si raccolgono finanziamenti con i cosiddetti round (parola che va tanto di moda su LinkedIn insieme a founder). Interviene insomma il venture capital e i fondi d’investimento, una giostra che ha fatto la fortuna di figure della Silicon Valley diventate ormai leggendarie come Peter Thiel e gli altri della PayPal Mafia (non sapete di cosa si tratta? Leggete fino alla fine e proprio grazie a TikTok lo scoprirete). E come Ilone Musk naturalmente, l’uomo più ricco del mondo che – a sentir lui – è diventato tale a furia di sbagli (ma evidentemente deve pure averne azzeccata qualcuna). Questa cosa dei round, degli unicorni e di altri animali leggendari, su scala più piccola ovviamente, c’è anche da noi: lo spirito di emulazione, del resto, come popolo (anzi come nazione, termine di maggiore attualità) non ci è mai mancato.
La cosa più preziosa che puoi fare è un errore: non imparerai nulla dall’essere perfetto.
Elon Musk
Chiusa parentesi. A parte questo aspetto, direi che la rassegna stampa sulle attività di TikTok/ByteDance fotografa una traiettoria molto interessante. Dopo aver rotto le ossa a tutti nel mondo dei social, i cinesi si preparano a: sfidare Meta nella corsa al metaverso basato su dispositivi wearables di realtà virtuale; sfidare Big G nella sua missione di ordinare le informazioni del mondo e renderle fruibili a chiunque; e sfidare Amazon sul terreno dell’ecommerce, creando una rete logistica di magazzini bricks and mortar. Praticamente i colossi digitali dell’economia mondiale. Onestamente non saprei dire quale è la sfida più ambiziosa e sorprendente, forse l’ultima.
Ma torniamo alla app vera e propria. Forse come utenti avrete notato che le maggiori piattaforme social si sono rifatte il look a immagine e somiglianza proprio di TikTok. Non solo sviluppando imitazioni dei video brevi – i Reel di Meta, gli Short di YouTube – ma anche rimpiazzando i contenuti pubblicati dalla vostra rete di amici o familiari con quelli di estranei che inseguono la gloria virale. Al punto che Meta è andata incontro a parecchi flame (Make Instagram Instagram again) in proposito, e la celebrity Kylie Jenner ha detto papale papale ai suoi 360 milioni di follower su Instagram che l’azienda doveva «smetterla di provare a essere» TikTok.

L’azienda stessa risponde (suo malgrado) che sono “cambiamenti inevitabili”, dunque il modello di TikTok potrebbe presto plasmare non solo i social ma anche l’intera internet. Vale la pena allora soffermarsi un pò sui fattori di tale travolgente valanga digitale, capire meglio cos’è che la rende diversa dalle altre app, che mi piace definire gli odierni “trastulli di massa” con cui l’homo digitalis passa il suo tempo.
Visto da fuori, uno che usa TikTok sembra impegnato in un’attività ripetitiva e meccanica, vale a dire quella di scorrere il dito sul display dello smartphone e saltare così da un video breve all’altro. Certo, ci sono le dirette, ma diciamo che il “core” è rappresentato proprio dai video, che tra l’altro come vedremo non è neanche detto che siano brevi. Ogni swipe potrebbe portare a qualcosa di meglio, ma chi guarda non sa quando questo accadrà e quindi continua a scorrere in attesa di un contenuto che potrebbe non arrivare mai.
Ma questo sistema di ricompensa aleatoria è la spina dorsale dell’app e trasforma l’intrattenimento in un gioco senza fine. Come avrete capito, è un sistema soddisfacente abbastanza da mantenere vivo l’interesse e – allo stesso tempo – insoddisfacente abbastanza da indurre a continuare. Tradotto: dopamina a volontà, la formula ormai non più tanto segreta per la app perfetta.
Come prodotto ed esperienza di fruizione, la vera novità è l’interfaccia immersiva: i video sono a schermo intero, l’utente li vede uno alla volta e può fare scroll al successivo. Come detto, questo formato ha spopolato e in breve le altre social media company hanno provato a replicarlo (copiarlo) nelle loro app nel tentativo di contrastare la fuga di utenti e conseguente perdita del tempo trascorso in app, con risultati (come visto poco più sopra) piuttosto controversi. L’utente americano medio guarda TikTok per 80 minuti al giorno, più del tempo che trascorre su Facebook e Instagram messi insieme, tanto per dirne una.
La cosa interessante davvero è che tale interfaccia non è stata disegnata così per ragioni estetiche, ma per dare modo all’algoritmo, vero punto di forza di TikTok, di “capire” molto velocemente quali contenuti piacciono all’utente e quali no: in base a questo, l’AI sceglie altri video brevi da proporti per tenerti incollato allo schermo. Ed è una macchina da guerra.
L’algoritmo di TikTok non vuole mostrarvi contenuti di amici (à là Facebook), o di amici di amici. Privilegia invece contenuti di utenti (o creators) che non conoscete ma che secondo lui, secondo logiche che a questo punto potremmo anche definire lookalike (prendendo in prestito il termine proprio dal mondo Facebook), vi potrebbero piacere. Li trovate nel feed “Per Te”, che è quello visualizzato di default all’apertura dell’app. Poi certo potete fare tap e andare sui “Seguiti”, dove trovate i video dei vostri profili preferiti, ma la fruizione di base è inizialmente orientata alla scoperta. Questo sembrerebbe essere il vero segreto della app cinese, e pochi giorni fa lo stesso Marketto ha fatto mea culpa per non aver capito che questa differente impostazione avrebbe avuto un effetto dirompente.
Tutto ciò posto, dico la mia su TikTok come digital marketer e poi la chiudiamo. Stando ai dati apparsi nei mesi scorsi, è stato il primo sito al mondo per traffico nel 2021, più di Google. E ci ha messo tre anni per fare i numeri che Facebook ha raggiunto in otto. La curva di adoption sale in fretta, e infatti è già arrivata un sacco di gente che non fa solo video brevi super-young o super-fun come un paio di anni fa (e non mi riferisco alle barzellette di Berlusconi). Sono numeri che non possono essere ignorati.
Personalmente trovo che la app abbia un senso (fondamentalmente risponde al bisogno di leggerezza, intrattenimento e svago degli utenti), e che sempre più ce l’avrà anche da un punto di vista professionale: infatti siamo stati i primi nel nostro settore ad aprire un profilo aziendale e strutturare un progetto che ci consentisse regolari pubblicazioni. Per quanto ci riguarda, TikTok è perfetta per raccontare con un linguaggio nuovo, ritmato e attuale il lato più divertente del nostro brand, che per ovvie ragioni viene fuori meno su altri canali ed è invece un attributo riconosciuto del nostro prodotto. Infine, non ultimo, il tasso di reach, chiamiamolo così, è ancora molto più alto che sulle piattaforme di Meta o su YT.
Altro inciso, quest’anno le entrate pubblicitarie di TikTok sono triplicate, raggiungendo i 12 miliardi di dollari, e si prevede che entro il 2025 surclasseranno quelle YouTube con quasi 25 miliardi di dollari. Gli spazi sponsorizzati più pregiati su TikTok – segnatamente il primo video commerciale che un utente vede nel proprio feed, noto come “TopView” – già costano uno sproposito. Per non parlare delle “branded hashtag challenge”, investimenti a fronte dei quali lo staff di TikTok aiuta gli inserzionisti a sviluppare una campagna nel linguaggio nativo della piattaforma e coinvolge i creators migliori, in grado di garantire viralità e notorietà al brand. Ma questo è comprensibile: si chiama cavalcare l’onda ed è una cosa vecchia come il business, non deve sorprendere.
Da utente infine, posto che non passo molto tempo al giorno con gli occhi dentro una app, voglio dirvi che la preferisco di gran lunga ai social di Meta (mai stato un fan) e che insidia da vicino YT (che invece è il mio preferito, perché consente di approfondire attraverso i video interessi anche molto verticali, primo tra tutti la musica). Provatela (per vedere i contenuti non è necessario iscriversi, basta installarla), concedetegli il tempo necessario e capirete perché l’intera faccenda non può essere sbrigativamente e superficialmente bollata come una app adolescenziale di balletti e lip-sync (non più almeno). Già ora c’è gente che parla di business e di marketing, fa divulgazione scientifica e culturale, consulenza fiscale e finanziaria, informazione sanitaria e curiosità di carattere storico e chi più ne ha più ne metta.
6 profili che le dimostrano? Ecco a voi, buona fruzione…